Strage di Bambini nella
Terra dei fuochi
Da un lato le tante
vittime di tumore.
Dall’altro le tante
inchieste sullo smaltimento di rifiuti tossici. Due elenchi terribili dietro i
quali c’è una tragedia che pare
riguardare solo il Sud. Ma in realtà riguarda tutto il Paese.
A volte basta raccogliere poche informazioni, basta mettere
insieme poche parole. A volte basta un semplice elenco per capire che si è
raggiunto un punto di non ritorno.
Riccardo morto di tumore a 22 mesi. Alessia morta a 9 anni.
Francesco a 14 anni. Mesia a 3 anni. Antonio a 9 anni. E’ la strage della “
Terra dei fuochi”. Tutti bambini di Giugliano, Afragola, Succivo, Caivano,
Marcianise, divorati dal cancro, in una terra avvelenata. Una terra che non fa
sconti nemmeno a chi non ha avuto il tempo di macchiarsi di alcuna colpa. Una
terra che ancora ama descriversi come amichevole e solare, ma che invece è dura
e inclemente.
E poi Adelphi (1993), Econox (2002), Murgia Violata (2002),
Greenland (2002), Re Mida (2003), Cassiopea (2003), Eldorado (2003), Mosca
(2004), Terra Madre (3006), Dirty Pack (2007). E’ l’elenco delle inchieste che
riguardano lo smaltimento di rifiuti tossici in Italia, reati commessi per la
parte maggiore in Campania.
Tra Questi due terribili elenchi c’è più o meno
quanto segue: persone da sensibilizzare a una tragedia che pare riguardare solo
una parte del Paese, il Sud, ma che in realtà lo riguarda tutto. Persone che
lavorano per sensibilizzarne altre. Persone che lavorano ogni giorno per
risolvere un problema che ha creato danni irreversibili. Persone che
irresponsabilmente se ne disinteressano. Organizzazioni criminali che non hanno
scrupoli e che, come raccontano i collaboratori di giustizia, hanno posizioni
simili a questa: “ Che ce ne fraga se si inquina la falda acquifera, noi
beviamo acqua minerale”. Organizzazioni criminali che hanno costruito fortune
sullo smaltimento illecito di rifiuti e che si stanno riciclando nel settore
delle bonifiche. Politici conniventi. Politici che non comprendono, che
ignorano, che minimizzano, che offendono. Come dimenticare l’infelice
dichiarazione di Beatrice Lorenzio, ministro della Salute, secondo cui la
percentuale di tumori, più alta in Campania rispetto al resto d’Italia, sarebbe
dovuta a stili di vita scorretti. Istituzioni talvolta prepotenti, irrispettose
e prevaricatrici. Come dimenticare l’aggressione verbale che don Maurizio
Patriciello, il parroco di Caivano in prima linea nella lotta ai reati
ambientali, subì dall’ex prefetto di Napoli Andrea De Martino un anno fa.
Persone che denunciano, persone che querelano chi denuncia. Persone che sono
infastidite quando altri denunciano. Gruppi che ritengono che questa battaglia
debba restare prerogativa di alcune e selezionate persone, che debba essere
combattuta solo a livello locale, e che parlarne sui media nazionali possa –
non è ben chiaro in che modo e per quale motivo – creare danno.
Dietro questi due elenchi ci sono tutte le contraddizioni di
un Paese che è sempre sull’orlo di una crisi di governo. Un Paese in cui i politici
non abbracciano più le cause giuste nemmeno per opportunismo elettorale. Dietro
questi due elenchi c’è un Paese che mente. Che mente su tutto. Sul benessere
dei propri cittadini. Sullo stato della crisi. Dietro questi due elenchi ci
sono i sacrifici e il sangue di persone che non hanno scelta. Dietro questi due
elenchi c’è opportunismo, il cinismo e l’incapacità di gestione di altre
persone.
Sono Anni che a denti stretti e con tanta
rabbia in corpo parliamo della “Terra dei fuochi”. Ora sono in tanti a sapere e
a raccontare, ma non basta. Non basta perché si cono zone dove vivere è
impossibile. Impossibile per il tanfo che si sente nell’aria, tanfo di rifiuti
incendiati, tanfo di morte. Dietro questi due elenchi c’è chi ogni giorno si sveglia,
vive, ama e muore in quella terra avvelenata che dobbiamo smettere di chiamare
maledetta. E per farlo non basta che della “Terra dei Fuochi” ne parlino i giornali
locali, i comitati di quartiere, gli attivisti che da anni urlano inascoltati.
Per spegnere il fuoco c’è bisogno dell’empatia di tutto il Paese, di un Paese
che in queste battaglie può dimostrare di non essere morto.
Roberto Saviano – L’Espresso – 3 Ottobre 2013
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