Guardarsi in
faccia al festival
Ci si interroga sul
successo dei raduni letterari e filosofici.
Anche se non è un
fenomeno nuovo. Molti giovani sono stanchi della superficialità che dilaga. E
poi la socializzazione virtuale mostra i suoi limiti.
In questo scorcio d’autunno proliferano i festival
letterari-filosofici. Ogni città, pare, vuole avere il proprio, emulando le
fortune originarie del festival di Mantova; ogni città cerca di avere le menti
migliori ori esistenti sul mercato; in alcuni casi alcune menti migrano da
festival a festival, ma in ogni caso il livello dei partecipanti + piuttosto
alto. Ora quello che sta eccitando giornali e riviste non è tanto il fatto che
questi festival siano ad organizzarli, perché potrebbe trattarsi della pia
illusione di qualche assessore alla cultura, ma che attraggono folle quasi da
stadio, in gran parte giovani che arrivano da altre cit e spendono uno o due
giorni per ascoltare scrittori e pensatori. E in più a gestire questi eventi
concorrono squadre di volontari (anche qui giovani) che vi si dedicano come un
tempo i loro padri andavano a disseppellire dal fango i libri dopo l’alluvione
di Firenze.
Quindi mi pare superficiale e stolta la riflessione di alcuni
moralisti che prendano sul serio
l’interesse alla cultura solo quando è praticato da un esiguo numero di loro
simile, e vedono in questi eventi un esempio di McDonald’s del pensiero. Il
fenomeno è invece degno di interesse e bisogna chiedersi perché i giovani vadano
lì invece che in discoteca; e non si dice che è la stessa cosa, perché non ho
ancora udito di auto piene di ragazzi in ecstasy che si schiantano alle due di
notte tornando da un Festival della Mente.
Vorrei solo ricordare che fenomeno, anche se è negli ultimi
anni che è esploso in misura massiccia, non è nuovo, perché è dagli inizi degli
anni Ottanta che la biblioteca comunale di Cattolica aveva iniziato a
organizzare serate (a pagamento!) su “Che cosa fanno oggi i filosofi?”, e il
pubblico arrivava anche in pulmann da un raggio di almeno cento chilometri. E
già allora qualcuno si era domandato che cosa stesse succedendo.
Né credo che si possa assimilare la faccenda al fiorire di
bistror filosofici intorno a Place de la Bastille a Parigi, dove domenica
mattina, mentre si sorseggia un Pernod, si fa della filosofia spicciola e
terapeutica, una sorte di psicanalisi meno costosa. No, in questi raduni il
pubblico ascolta per ore dei discorsi da aula universitaria. Ci va, ci sta, ci
torna.
E allora rimangono solo due ordini di risposte. Di uno
si era già parlato sin dai primi raduni di Cattolica: una percentuale di
giovani è stanca di proposte d’intrattenimento leggero, di recensioni
giornalistiche ridotte (salvo pochi casi eccellenti) a finestrelle e
stelloncini di una decina di righe, di televisioni che, quando parlano di un
libro lo fanno solo dopo la mezzanotte . E dunque danno il benvenuto a offerte
più impegnative. Si parla per i pubblici dei festival di centinaia e talora di
migliaia di partecipanti e certo sono una percentuale assai bassa rispetto alla
maggioranza generazionale, corrispondono a quelli che frequentano le librerie a
più piani, sono certamente un’élite; ma sono un’élite di massa, vale a dire
quel che può essere un’élite in un mondo da 7 miliardi di abitanti. E’ il minimo
che una società può chiedere al rapporto tra auto diretti ed etero diretti, non
si può averne statisticamente di più, ma guai se questi non si fossero.
La seconda ragione è che questi raduni culturali denunciano
l’insufficienza dei nuovi modi di socializzare virtuale. Puoi avere migliaia di
contatti di Facebook ma alla fine, se non sei completamente drogato, ti accorgi
che non sei davvero in contatto con esseri in carne e ossa, e cerchi allora
occasioni per stare insieme e condividere esperienze con gente che la pensa
come te. E’ come raccomandava Woody Allen non ricordo dove: se vuoi trovare
delle ragazze devi andare ai concerti di musica classica. Non a quelli rock,
dove urli verso il palco ma non sai chi ti sta accanto, ma a quelli sinfonici o
da camera, dove nell’intervallo intrecci qualche contatto. Non sto dicendo che
si vada ai festival per trovare un partner, ma certamente lo si fa per
guardarsi in faccia.
Umberto Eco – L’Espresso – 26 Settembre 2013
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