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sabato 14 settembre 2013

Lo Sapevate Che: Questa Settimana....


E Io Dico Che B. Non Mollerà

Forse accetterà in silenzio la decadenza o l’interdizione. O forse farà un passo indietro prima del voto. Ma solo alle sue condizioni e comunque restando il capo della destra. Scommessa azzardata?  Sì, ma giustificata dai fatti

Il lungo addio è cominciato il giorno in cui Giorgio Napolitano ha nominato Mario Monti senatore a vita la guida di un governo tecnico. Quando arriverà a compimento però non si sa, e non solo per i rinvii, i cavilli, le trovate procedurali che la Giunta per le immunità, novella Bisanzio, si affanna a cercare e immancabilmente a trovare. Ma perché Silvio B. non sceglierà l’esilio, non volerà alle Bahamas, non chiederà perdono. Invece venderà cara la pelle, cercherà protezioni e salvacondotti e anche se dovesse fare un passo indietro sarà solo a patto che gli siano garantite le condizioni che imporrà. Insomma, farà di tutto per restare leader del centrodestra. Perché ne è e ne sarà sempre il capo e l’azionista di riferimento. E’ una scommessa azzardata, lo so, ma altrimenti che scommessa sarebbe? E però – pur senza escludere la remota possibilità che la vecchiaia, la stanchezza e la paura lo spingano a essere diverso da com’è – a giustificare il rischio ci sono fatti e precedenti dai quali è forse opportuno trarre una qualche morale.
Con B. Non E’ Possibile scendere a patti da pari a pari. Ragiona da grande imprenditore che badi all’utile di bilancio, obiettivo sul quale è possibile solo un accordo vantaggioso per lui. E infatti nel suo gruppo non ha soci ma dipendenti, pochi amici e molti consulenti ben pagati e dunque pronti a tutto (avvocati, esperti in offshore, procacciatori d’affari e anche d’altro).  Nella vita e nel business  è il tipico “one man show”, e non a caso Enzo Biagi diceva che se B. avesse avuto le tette avrebbe fatto anche l’annunciatrice.
E in politica? Come in azienda. Anche perché ha avuto la fortuna che nessuno mai gli sbarrasse davvero la strada. Quando, come dice lui, è sceso in campo non è arrivata una legge vera sul conflitto di interessi, non sono state regolamentate le sue tv e la legge sulla incandidabilità che già c’era da quarant’anni e che lo rendeva – appunto – in candidabile fu bellamente ignorata dal Parlamento, allora e dopo. E quando poi Massimo D’Alema si illuse di irretirlo con La Bicamerale, lui accettò di parteciparvi solo a patto che si parlasse di riforma della giustizia. A suo vantaggio. Gherardo Colombo, ieri pm e oggi consigliere d’amministrazione della Rai, poté dire che la Bicamerale era figlia di un ricatto. Già allora. Correva l’anno 1997.
Pochi Mesi Dopo, Era D’Estate, D’Alema e Berlusconi siglarono a casa Letta (Gianni) il patto della crostata, offerta agli ospiti dalla padrona di casa, cioè l’intesa su legge elettorale a doppio turno e presidenza di garanzia. Ma per arrivarci D’Alema fu costretto a stralciare il capitolo giustizia, impossibile da digerire perfino per il teorico dell’inciucio. Così, dopo un anno di melina, incertezze e traccheggia menti, B. si rimangiò il patto e la crostata perché da quelle carte mancava l’unico argomento che gli stava davvero a cuore. E la sinistra pagava due volte il suo azzardo: per aver invitato la destra berlusconiana a riscrivere la Costituzione e poi per aver subìto le conseguenze del fallimento.
In fondo da allora non molto è cambiato. B. continua a dettare l’agenda, e perfino il calendario della Giunta chiamata a decretare la sua decadenza da senatore dopo una sentenza di colpevolezza passata in giudicato, e a minacciare di morte il governo. In quanto alla sinistra, non ha ancora superato lo choc di Tangentopoli né elaborato una strategia alternativa all’eterno oscillare tra antiberlusconismo becero e inconcludente, che talvolta si piega all’antipolitica, e dialogo di maniera per riforme che non si faranno mai. E adesso, anche se sa come votare in commissione, non sa che cosa farà un minuto dopo.
Tutto cambierà davvero non quando l’ex Cavaliere lascerà la scena politica, ma quando la sinistra comincerà a pensare a sé e ai suoi elettori, a volti nuovi, ai no che deve urlare, ai ricatti che non può accettare, a riconquistare un territorio abbandonato alle piazze e ai populismi, insomma a sfidare lui o chi per lui sulle proposte, sulle idee, sui progetti. Senza mai dimenticare che oggi metà del paese milita nel partito dell’astensione o corre a votare Grillo.

Bruno Manfellotto- L’Espresso – 19-9-13

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