E Io Dico Che B. Non
Mollerà
Forse accetterà in
silenzio la decadenza o l’interdizione. O forse farà un passo indietro prima
del voto. Ma solo alle sue condizioni e comunque restando il capo della destra.
Scommessa azzardata? Sì, ma giustificata
dai fatti
Il lungo addio è cominciato il giorno in cui Giorgio
Napolitano ha nominato Mario Monti senatore a vita la guida di un governo
tecnico. Quando arriverà a compimento però non si sa, e non solo per i rinvii,
i cavilli, le trovate procedurali che la Giunta per le immunità, novella
Bisanzio, si affanna a cercare e immancabilmente a trovare. Ma perché Silvio B.
non sceglierà l’esilio, non volerà alle Bahamas, non chiederà perdono. Invece
venderà cara la pelle, cercherà protezioni e salvacondotti e anche se dovesse
fare un passo indietro sarà solo a patto che gli siano garantite le condizioni
che imporrà. Insomma, farà di tutto per restare leader del centrodestra. Perché
ne è e ne sarà sempre il capo e l’azionista di riferimento. E’ una scommessa
azzardata, lo so, ma altrimenti che scommessa sarebbe? E però – pur senza
escludere la remota possibilità che la vecchiaia, la stanchezza e la paura lo
spingano a essere diverso da com’è – a giustificare il rischio ci sono fatti e
precedenti dai quali è forse opportuno trarre una qualche morale.
Con B. Non E’ Possibile scendere a patti da pari a pari.
Ragiona da grande imprenditore che badi all’utile di bilancio, obiettivo sul
quale è possibile solo un accordo vantaggioso per lui. E infatti nel suo gruppo
non ha soci ma dipendenti, pochi amici e molti consulenti ben pagati e dunque
pronti a tutto (avvocati, esperti in offshore, procacciatori d’affari e anche
d’altro). Nella vita e nel business è il tipico “one man show”, e non a caso Enzo
Biagi diceva che se B. avesse avuto le tette avrebbe fatto anche
l’annunciatrice.
E in politica? Come in azienda. Anche perché ha avuto la
fortuna che nessuno mai gli sbarrasse davvero la strada. Quando, come dice lui,
è sceso in campo non è arrivata una legge vera sul conflitto di interessi, non
sono state regolamentate le sue tv e la legge sulla incandidabilità che già
c’era da quarant’anni e che lo rendeva – appunto – in candidabile fu bellamente
ignorata dal Parlamento, allora e dopo. E quando poi Massimo D’Alema si illuse
di irretirlo con La Bicamerale, lui accettò di parteciparvi solo a patto che si
parlasse di riforma della giustizia. A suo vantaggio. Gherardo Colombo, ieri pm
e oggi consigliere d’amministrazione della Rai, poté dire che la Bicamerale era
figlia di un ricatto. Già allora. Correva l’anno 1997.
Pochi Mesi Dopo, Era
D’Estate, D’Alema e
Berlusconi siglarono a casa Letta (Gianni) il patto della crostata, offerta
agli ospiti dalla padrona di casa, cioè l’intesa su legge elettorale a doppio
turno e presidenza di garanzia. Ma per arrivarci D’Alema fu costretto a
stralciare il capitolo giustizia, impossibile da digerire perfino per il
teorico dell’inciucio. Così, dopo un anno di melina, incertezze e traccheggia
menti, B. si rimangiò il patto e la crostata perché da quelle carte mancava
l’unico argomento che gli stava davvero a cuore. E la sinistra pagava due volte
il suo azzardo: per aver invitato la destra berlusconiana a riscrivere la
Costituzione e poi per aver subìto le conseguenze del fallimento.
In fondo da allora non molto è cambiato. B. continua a
dettare l’agenda, e perfino il calendario della Giunta chiamata a decretare la
sua decadenza da senatore dopo una sentenza di colpevolezza passata in
giudicato, e a minacciare di morte il governo. In quanto alla sinistra, non ha
ancora superato lo choc di Tangentopoli né elaborato una strategia alternativa
all’eterno oscillare tra antiberlusconismo becero e inconcludente, che talvolta
si piega all’antipolitica, e dialogo di maniera per riforme che non si faranno
mai. E adesso, anche se sa come votare in commissione, non sa che cosa farà un
minuto dopo.
Tutto cambierà davvero non quando l’ex Cavaliere lascerà la
scena politica, ma quando la sinistra comincerà a pensare a sé e ai suoi
elettori, a volti nuovi, ai no che deve urlare, ai ricatti che non può
accettare, a riconquistare un territorio abbandonato alle piazze e ai
populismi, insomma a sfidare lui o chi per lui sulle proposte, sulle idee, sui
progetti. Senza mai dimenticare che oggi metà del paese milita nel partito
dell’astensione o corre a votare Grillo.
Bruno Manfellotto- L’Espresso – 19-9-13
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