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sabato 28 settembre 2013

Lo Sapevate Che: Scienze & Tecnologia: Alzheimer...

  
Quando il junk food è un Killer

E se l’aumento vertiginoso di demenza che soprattutto nei paesi più ricchi non fosse altro che il più terribile tra i frutti avvelenati delle nostre abitudini alimentari? Se fosse collegato a grassi saturi e zuccheri? Qualcuno ha iniziato a pensarlo, e stanno venendo fuori prove. Intanto i numeri: si stima che, nel mondo, nel 2050 ci saranno ben 115 milioni di persone con la demenza di Alzheimer, contro i 36 attuali (in Italia oggi sono un milione, e il loro numero aumenta di 150 mila unità ogni anno). Colpa innanzitutto dell’allungamento progressivo dell’età media, essendo la demenza una degenerazione tipica del cervello che invecchia. Ma questa spiegazione, da sola, non basta, perché altre patologie  dell’invecchiamento non hanno affatto un trend analogo e soprattutto perché la crescita non è visibile in tutte le popolazioni che hanno allungato progressivamente la durata della vita, ma solo in quelle che mangiano peggio e ingrassano di più.
Tra i più convinti sostenitori di questa ipotesi c’è Suzanne de la Monte, neuropatologa della Brown University di Providence, in Rhode Island, che ha proposto addirittura di chiamare la demenza diabete di tipo 3, per distinguerlo da quello di tipi 1, giovanile, autoimmunitario, e da quello di tipo 2, associato all’obesità. Tra i molti esperimenti condotti, la ricercatrice ha infatti visto che se nutriva gli animali con cibi ricchi di grassi, zuccheri e calorie, le performance cognitive iniziavano molto velocemente a declinare, fino a giungere a manifestazioni di vera e propria demenza. A ciò corrispondeva un calo vistoso della sensibilità all’insulina, una delle condizioni che spianano la via al diabete di tipo 2. Se infatti è ben noto che l’insulina è l’ormone incaricato di tenere sotto controllo gli zuccheri nel sangue, negli ultimi anni è stato dimostrato che essa agisce anche come un vero neurotrasmettitore, aiuta le cellule nervose a interagire e fa molto altro, a livello centrale. Di più: nel diabete 2, all’aumento di peso è associata una vistosa crescita del rilascio di mediatori dell’infiammazione. E nel cervello, ciò spiegherebbe l’infiammazione che sempre accompagna la demenza.
E iniziano a esserci anche studi nell’uomo. Alcune ricerche fatte su cadaveri confermano infatti l’associazione insulina-demenza. E per quanto riguarda i vivi, ci sono test di Susanne Craft, pioniera degli studi sull’Alzheimer, che ha nutrito per un mese un gruppo di volontari con una dieta ad alto tenore di grassi e zuccheri, e un altro gruppo con alimenti con pochi grassi e zuccheri, e ha poi dimostrato che nei primi il liquido cerebrospinale presentava un cambiamento alquanto preoccupante: l’aumento della beta amiloide, la proteina che nell’ Alzheimer si deposita fino a devastare intere aree cerebrali. In un altro esperimento la scienziata ha somministrato insulina in spray nasale a un centinaio di persone, dimostrando che migliorava la memoria, la capacitò decisionale e le prestazioni. E i suoi studi sono così convincenti che i National Institutes of Health le hanno concesso un super finanziamento da 7,9 milioni di dollari per capire meglio se e come questa possa essere una vera terapia, mentre altri ricercatori stanno già testando nell’uomo gli antiabetici orali come cura anti-Alzheimer.

Agnese Codignola – L’Espresso – 26 Settembre 2013

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