Fiducia nei partiti ai
minimi storici
Dal 2006 votiamo con l’attuale
legge elettorale. Si dice di volerla cambiare, ma alle parole non solo seguiti
i fatti.
La nomina dei quattro
senatori a vita, eccellenze italiane mei vari campi, la interpreto come un
monito alla partitocrazia.
Alcune reazioni che la politica ha e che sono seguite,
assecondate, talvolta addirittura precedute dalla stampa e dalla società civile
non riesco a interpretarle come frutto di genuina indignazione indiscriminata
verso chi viene investito di responsabilità e poteri, in un momento in cui non
esiste gloria, non esiste fiducia, ma solo voglia di trovare il capro
espiatorio. Tutto è diventato casta e quando tutto è casta, paradossalmente
nulla lo è più. Quando si cerca la fregatura ovunque, è ovvio che sfugge dove
c’è. E se l’indignazione è identica e sovrapponibile in aree politiche sempre
in disaccordo tra loro, se è identica e sovrapponibile in aree sociali che in
comune hanno poco, credo sia necessario fermarsi a riflettere. Riflettere e
capire cosa unisce o cosa divide. Perché forse non ci troviamo più al cospetto
di volontà reali di cambiare il paese o di raccontarlo, ma solo di fronte a
modi un po’ goffi eppure convincenti di mantenere lo status quo.
E dal 2006 che votiamo con l’attuale legge
elettorale e la sua modifica è stata l’argomento principale dell’ultima
campagna elettorale. Ma alle parole, ancora una volta, non sono seguiti i
fatti. La fiducia nella politica è ai minimi storici e probabilmente lo sarà
anche l’affluenza alle urne nelle prossime elezioni politiche. Ecco, quindi,
come io ho interpretato la nomina a senatori a vita di quattro personalità che
di politico non hanno nulla, come un monito – l’ennesimo – alla partitocrazia:
non più voi, politici di professione, politici navigati, a rappresentare la
società civile, ma personalità che “hanno illustrato la Patria per altissimi
meriti nel campo scientifico, artistico e sociale”.
La fantapolitica delle strategie non mi ha mai convinto e
ancor meno mi convince adesso che gli interessi in campo sono talmente tanti,
talmente divergenti, talmente personali da sfuggire a previsioni. Gli analisti
politici continuano a giocare con i numeri: 321 il nuovo plenum dei senatori
(con le quattro nomine recenti), quindi nuova maggioranza a quota 161. A questo
punto ls conta dei senatori favorevoli al governo Letta e di quelli fedeli a
Berlusconi fa sorridere se andiamo indietro di qualche mese e ricordiamo la
barzelletta che in Italia è stata l’elezione del presidente della Repubblica.
Quindi le nomine di Renzo Piano, Claudio Abbado, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo
hanno il solo significato di far entrare alla Camera alta degli italiani di
valore. Eccellenze di cui dovremmo andare fieri senza domandarci quanto ci
costano, perché quello che hanno dato è un bene prezioso e inestimabile.
Smettere di riconoscere le eccellenze, avvelenare il clima
con retroscena politici dai piedi d’argilla, credere che l’economia italiana
possa essere compromessa o salvata dagli stipendi di quattro senatori, tra i
migliori che avremo, è solo un modo per fare il gioco di chi vuole che tutto
resti com’è. Di chi instilla odio e rancore per professione, avendo perso lo
scopo, la funzione e il fine della politica.
Conosco Claudio Abbado personalmente da anni. Non è
necessario aver fatto una passeggiata in silenzio con lui per conoscere i suoi
meriti. Claudio Abbado è uno in di quegli italiani che il mondo segue e
apprezza. E mai come in questo momento, non riuscendo a svolgere le sue
funzioni come dovrebbe, la politica italiana ha bisogno di essere aiutata da
musica, scienza, arte. Perché musica, scienza e arte sapranno decidere senza
condizionamenti, senza faziosità. Che in Senato entrino le competenze di uno
dei migliori architetti del mondo, di un direttore d’orchestra impegnato da
decenni nelle sale più prestigiose e nelle aree più disagiate del Sudamerica
avvicinando migliaio di ragazzi alla musica, che in Senato entri la scienza e
le sue bistrattate istanze, credo sia un modo, forse il solo, perché la
politica ricominci a fare il suo lavoro: occuparsi della vita, finalmente.
In questo momento, con la sfiducia e la disillusione
che c’è in Italia, ci vuole molto coraggio ad accettare e affrontare questa
nuova sfida. Ci vuole molto coraggio a entrare in Senato senza essere un
politico di professione, senza averlo scelto e senza aver lavorato e talvolta
brigato per questo.
Roberto Saviano – L’Espresso – 12-9-13
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