Povero Orso Marsicano, Falciato Come Un Umano
Da Un Automobilista
Piangete, creature dei boschi, e rattristatevi, umani dal cuore sensibile, per l’impeto e il frastuono di lamiere che in un baleno hanno messo fine alla vita del giovane orso marsicano falciato al chilometro 89 Roma-Aquila.
Erano le sei di mattina, il guidatore nulla ha potuto, ancora non ci dorme la notte, l’urto gli è entrato dentro, come il fischione dei freni e le luci dei fari, l’odore dell’alba, il sudore freddo, la paura e tutto quel silenzio, dopo, sull’autostrada – speriamo silenzio, davvero, ché un’agonia di soffi e rantoli nel buio è quanto di peggio si possa ancora immaginare.
Ma poi: che diavolo ci faceva un orso di 120 chili sull’A24? Risposta triste per chi osserva che gli orsi, con tutto quel pelo, non assomigliano agli uomini, ma quando crepano ai bordi delle strade sì. Per cui gli zoologi hanno spiegato che dalle alture inaccessibili del Velino, che come colossale meringa o marzapane si erge dinanzi agli occhi degli automobilisti, l’orso era arrivato fin lì sospinto dalla stagione degli amori, e siccome sono ormai pochissimi gli esemplari di quella specie, non più di ottanta dicono, occorre pensare che il vento gli avesse procurato una specie di appuntamento, e la più misteriosa energia della vita, da quelle rupi, da quei cieli, da quegli spazi reconditi, gli avesse intimato di scendere a valle, incontro al suo destino.
Aprile, vedi: il più crudele dei mesi. E allora forse solo un canto funebre, al suono antifuoco del flauto, e il ricordo di qualche verso del liceo, lugete veneres cupidinesque, potrebbe alleviare l’affanno malinconico, ma l’epicedio è un genere estinto, un po’ come l’orso bruno della Marsica, e allora attaccarsi alle immagini, come questa qui, e chiedere loro un suffragio di poesia.
E l’anonimo poliziotto accucciato sull’asfalto si prende in carico quest’ultima pietosa incombenza, e la sua mano accarezza sotto la gola la pelliccia del giovane orso defunto, impossibile carezza altrimenti, lungo la striscia ininterrotta del guardrail.
Filippo Ceccarelli – Venerdì di Repubblica – 10-o5-13
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