Vale Meno, La Vita Di Una Donna
Scrive il nostro lettore: “Per cambiare questa tragica realtà serve più educazione”. Ha ragione: si tratta di smontare archetipi che affondano nella preistoria dell’umanità
La solita notizia senza importanza. Un uomo di 30 anni ha ucciso la moglie di 29 e poi ha tentato d’impiccarsi. E’ ricoverato in gravi condizioni all’ospedale. Nell’appartamento era presente la figlia di tre anni. Una notizia di poca rilevanza, anche perché si sa chi è l’omicida e quindi non può essere cibo succulento per le trasmissioni tv. Ma anche perché una notiziola così appare suppergiù ogni tre giorni sui giornali .A volte l’uomo, un po’ ottuso, uccide anche se stesso. Non arriva a capire che, dovendo suicidarsi, per lui l’uccisione della donna non dovrebbe avere alcun senso. Una notizia di scarsa importanza, anche perché nel mondo scompaiono milioni di bambine, assassinate, abortite o abbandonate. Noi italiani per eliminarle aspettiamo che crescano, che si fidanzino, che si sposino. Condanne esemplari? Leggi più severe? E a che servirebbero, per gli ottusi che si uccidono dopo aver ucciso? E’ necessaria l’educazione e soprattutto nelle scuole. Una educazione che cambi in modo radicale la mentalità degli uomini, ma anche delle donne. Il rapporto tra i generi dovrebbe diventare materia di studio. Libri sull’argomento non mancano.
Renato Pierri
Contro il femminicidio e, più in generale, contro la bassa considerazione che gli uomini hanno delle donne (basta sentire le conversazioni dei maschi quando si incontrano tra loro) occorre, come lei dice, “un’educazione incessante che entri nelle case e nelle scuole”, per “cambiare radicalmente la mentalità degli uomini ma anche delle donne”. Nelle case, quello a cui i figli fin da piccoli non di rado assistono è lo spettacolo del padre che spesso urla e della madre che, per il quieto vivere, non reagisce e subisce. Per i processi di identificazione dei figli con i genitori, che la psicoanalisi ha ampiamente spiegato, i maschi acquisiscono come valore la prevaricazione maschile, e le femmine la sottomissione femminile. Così viene rafforzato un archetipo antichissimo, che gli antropologi hanno ben descritto come cultura diffusa in tutto il mondo primitivo, e la filosofia da un lato e la religione dall’altro, con i loro argomenti e dogmi, hanno rafforzato. Sto parlando dell’indiscussa superiorità dell’uomo sulla donna e del conseguente potere che spesso si traduce in violenza.
L’antropologo Claude Lévi-Strauss, in Le strutture elementari della parentela, ci informa che nel regime degli scambi, oltre a “le cibarie, gli oggetti fabbricati, rientrava anche la categoria dei beni più preziosi, ossia le donne”. Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski, ci informa che nelle isole Trobriand, dove gli abitanti ignorano il contributo maschile alla procreazione, tutti i figli assomigliano al padre, a cui la madre ha offerto solo la materia. Questo motivo è ripreso da Aristotele, e qui siamo già in una cultura notevolmente avanzata, e tuttavia: “La femmina offre sempre la materia, il maschio la forma. Il corpo ha dunque origine dalla femmina, l’anima, che è l’essenza del corpo, dal maschio”. A questo motivo non si sottrae neppure il dogma cristiano dell’incarnazione, dove la Madonna offre la materia, ma suo Figlio, come lui stesso dice, è tutt’uno col Padre: “Io e il Padre siamo una sola cosa” (Gv, 10,30)”.
Lei capisce che smontare questo archetipo radicato nell’inconscio più inconscio del maschio non è cosa facile, e la scuola, oltre a insegnare giustamente la cultura dei tempi trascorsi, dovrebbe insegnare anche gli errori di questa stessa cultura, responsabile di tutte le violenze perpetrate nella storia sulle donne. Ma in una scuola come la nostra dove fatica a farsi strada l’educazione sessuale, è mai ipotizzabile un’educazione sulla differenza di genere che faccia comprendere, oltre alle differenze sessuali, quanta ideologia, quanta prepotenza, quanta violenza sono state esercitate a partire da questa differenza?
Si tratta di un insegnamento che dovrebbe essere impartito per modificare non solo la mentalità dei maschi ma, come lei dice, ma “anche delle donne”, perché il potere e la violenza del maschio non sta solo nell’esercizio della sua forza, ma anche nell’acquiescenza della donna alla propria subordinazione. Oggi che le donne sono sempre meno acquiescenti, sembra che debbano pagare un prezzo altissimo per questo loro tentativo di ribaltare la crudeltà di una cultura che si perde nella notte dei tempi.
umbertogalimberti@repubblica.it –Donna di Repubblica -18.05.13
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