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martedì 21 maggio 2013

Lo Sapevate Che: Piccoli Tiranni...


Piccoli Tiranni Che Forza Ci Vuole Per Domarvi

Ho visto una mamma sconfitta dai capricci.
L’ho detestata, ma più che con lei ce l’avevo con me

L’altro giorno ero al supermercato, in splendida solitudine. Mi godevo la crociera tra gli scaffali, indugiando voluttuosamente su prodotti improbabili e inutili perché, a volte, la felicità e la beatitudine si annidano anche in un tete a tete con un carrello della spesa .
All’altezza degli ammorbidenti, uno strillo d’aquila ha perforato la cortina ovattata del mio vagare placido.
Dietro di me, tra i detersivi per i piatti e quelli per il bucato, un bambino, di circa due anni, si dimenava furioso dentro un passeggino. Ho represso il poco edificante e pochissimo materno moto di fastidio che mi prende ogni volta che non ho figli al seguito e quelli altrui si frappongono tra me e la mia incidentale e preziosa solitudine.
“Smettila, Alessandro!”, gli intimava la madre mentre lui accompagnava le urla con vigorose testate sullo schienale del passeggino. “Puoi continuare fino a domani a piangere. Non servirà a niente”.
Alessandro, in un climax di singhiozzi e moccio al naso, offriva ai detersivi, a sua madre, a me e all’addetto del reparto igiene per la casa un’interpretazione magistrale, seppur non originalissima, della locuzione fare i capricci. “No! Non ti prendo in braccio. Devi restare seduto”, diceva la mamma, con tono deciso e piglio inflessibile.
Avrei voluto avvicinarmi a le, stringerle la mano e dire: “Brava! Così si fa! Resisti! No cedere ai suoi ricatti, fregatene di noi che vi guardiamo interdetti. Fagli sentire che sei il capo, dagli la misura dei confini, non lasciarti intimidire”: non lasciarti intimidire. La tua integrità oggi gli regalerà equilibrio domani”. Perché la teoria la sappiamo quasi tutti, ma la sua applicazione è un onere o un talento, faticoso appannaggio di pochi impavidi. Avrei voluto manifestarle la mia solidarietà e il mio entusiasmo per quel rigore spietato, tanto impopolare e arduo da gestire in pubblico. Non l’ho fatto. Le ho sorriso senza essere vista e ho proseguito la mia crociera alla volta dei succhi di frutta.
Quattro minuti dopo li ho incontrati nuovamente.
“Sei contento adesso? Eh? Sei il solito monello frignone! Non piangi più ora?”. Al banco del pesce Alessandro aveva ottenuto quello che voleva. E  si asciugava trionfante il moccio con il dorso della mano, in braccio alla sua mamma, dalle altitudini della mano, in braccio alla sua mamma, dalle altitudini della sua vittoria. Lei arrancava, sotto i pesi di un duenne tronfio, del passeggino, della spesa e della capitolazione.
“Ecco, hai perso. Avevi cominciato tanto bene. E adesso? Guarda come ti sei ridotta. Credi di avergli fatto un favore? Credi che ora ti amerà di più? Credi che domani sarà più facile?”
Ero delusa, arrabbiata e livorosa. E ce l’avevo con lei, la mamma di Alessandro. E con i genitori di Beatrice, di Matteo, di Bianca, di Simone, di Valentina e di tanti altri che conoscono la teoria e inciampano miseramente sulla pratica. E con me che ho perso migliaia di battaglie, al banco del pesce e in mille altri luoghi, pubblici e privati. Perché loro – piccoli, un po’ selvaggi, tiranni perché la tirannia è fruttifera, capricciosi e irresistibili – ci fanno tanta paura da trasformarci nei pavidi mollaccioni a cui non avremmo mai voluto somigliare? Perché i nostri no diventano si? Perché diciamo “Questa è la tua ultima possibilità”, almeno 12 volte al giorno? Perché ci pieghiamo a trattative estenuanti sul cibo (non è normale cucinare tre piatti diversi per tre figli dai gusti non intersecantesi), sul sonno (non è normale cronometrare i tempi delle coccole serali per evitare che si scateni l’inferno della gelosia), sul vestiario (non è normale accettare che il figlio treenne metta solo mutande di Spiderman, che il settenne abbia un look da clown e il decenne da Tony Manero). Perché siamo tanto lontani dai genitori che eravamo, prima di avere figli?
Non ho risposte ma, lo prometto, la prossima volta che vado in crociera al supermercato e incontro una mamma di Alessandro che dice no, mi fermo, le stringo la mano e le dico: “Non mollare! Sei tutti noi”. Magari funziona.
elasti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 11-05-13

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