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venerdì 8 febbraio 2013

Lo Sapevate Che: Pediatri Che Non Dicono....


Quello Che I Pediatri Americani Non Dicono

Tosse, raffreddore, malanni di stagione? Da bravi prendete lo sciroppino. E Buttatelo, dritto nel lavandino.

Nella sala d’attesa del pediatra, tra le immancabili giraffe alle pareti e i palloncini flaccidi, starnuti e colpi di tosse esplodono in una bomba biologica naturale e appiccicosa. Una ricerca letta su un settimanale logorato sostiene che nelle sale d’attesa pediatriche i bambini prendano più infezioni di quante il medico guarisca, statistica che in segreto, molto in segreto, il vostro pediatra potrebbe confermare almeno nella parte che riguarda le cure. Perché lui o lei sanno che la stragrande maggioranza delle affezioni che spingono a trascinare il piccino nel suo studio guarirebbero perfettamente con quel farmaco del quale orami pochissimi dispongono, il tempo. Senza ricette, pasticche, sciroppino.
Un pediatra celebre che teneva una rubrica di consigli per la network Cbs fu cacciato dal programma quando sbottò a una mamma che gli chiedeva la corretta posologia di un famoso sciroppo antinfluenzale di “versarlo tutto in una volta dentro il lavello di cucina. Sarebbe l’uso migliore, perché non serve a niente ma eviterebbe che il bambino se lo bevesse tutto per errore”. La Grande Casa Farmaceutica che lo produceva ne chiese ed ottenne la testa.
In questa stagione di fine inverno, il consumo di medicina pediatrica diventa parossistico. Con sei nipoti di età inferiore agli otto anni so che non passerà settimana senza che figlia o nuora, ne trascinino uno dal dottore, solo per sentirsi dire, nove volte su dieci, quella frase che devono insegnare nelle migliori scuole di specialità: “C’è in giro un sacco di questa roba, signora”. Nutrici e parenti non pensano, sollevati dal mal comune, che la stessa risposta avrebbero potuto dare ai loro pazienti i medici milanesi del Seicento durante la peste.
La combinazione di rimorsi genitoriali, ipocondria, pezzi di infarinatura medica inghiottiti dalla televisione e dalla rete producono una miscela esplosiva di ansie e di ricorsi al “dottore”, sconosciuta a una generazione precedente.
I miei figli americani inorridirebbero al pensiero che quegli sciagurati dei miei genitori non avevano mai provveduto a quelle sei visite di controllo entro i primi dodici mesi di vita – dunque una ogni due mesi – che oggi sono di norma, e che il viaggio nello studio pediatrico era per noi un evento rarissimo. Il protocollo standard per ogni nostro malanno erano la spremuta di arancia nell’evento di temperatura elevata, la brutale limonata calda per imbarazzo gastrico o, nei casi più disperati, l’efferato clistere. Penicillina raramente. Più spesso pappine calde da ustione di terzo grado.
Decenni èiù tardi, scopro, leggendo uno dei più riveriti pediatri americani, il dottor Robert Linderman, che quel protocollo era quello indicato. In un saggio dal titolo provocatorio, Gli sporchi segreti del vostro pediatra spiega che il 90 per cento dei piccoli pazienti che lui riceve non ha alcuna necessità di cure o medicine particolari. E che quegli orrendi sintomi che hanno spinto i genitori a prendere un giorno di permesso, litigare col coniuge o mobilitare i nonni, sarebbero scomparsi da soli in pochi giorni di riposo.
“Vorrei poter dire a quei genitori che fortunatamente la stragrande maggioranza delle patologie infantili si curano per la forza della natura, ma non glielo posso dire”. E qui sta lo “sporco segreto”. I pediatri di famiglia in un sistema sanitario privato devono per forza riempire le loro sale d’attesa, perché “soltanto il volume dei pazienti assicura la copertura delle spese di esercizio e un reddito adeguato agli anni di studio e di pratica”.
I bambini americani costano 300 miliardi di dollari per la loro salute e la cifra sembra raccontare la storia di una generazione di piccoli infermi, quando è vero il contrario.
E gli sciroppino, dottore? “Buttateli nel lavandino”, raccomanda anche lui, che non ha un programma alla radio. Ma quei puntini rossi, quel vomito, quella cacchina, dottore? “ Ce n’è un sacco in giro, signora”.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 2-02-13

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