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giovedì 28 febbraio 2013

Lo Sapevate Che: Esser Buoni!...

Non Siamo Mai Stati
Così Buoni

Provocazioni
Dati alla  meno, sostiene Steven Pinker; viviamo l’età meno
violenta della storia. Almeno in percentuale…..

Steven Pinker è un gran bastian contrario. La maggior parte delle sue risposte cominciano con “no” che spiazza l’interlocutore. Non stupisce, dunque, che nel suo ultimo libro sostenga, a dispetto di tutte le apparenze, che viviamo nel secolo più pacifico della storia della razza umana.
The Better Angls of Our Nature, il titolo del libro che ha acceso aspre discussioni in America e arriva il 5 marzo nelle librerie italiane (ribattezzato Il declino della violenza), Pinker l’ha preso da una famosa frase di Abraham Lincoln e calza a pennello con la sua visione della natura umana: “Un  sistema complesso che comprende facoltà che ci rendono inclini alla violenza e altre ce la fanno respingere: per esempio l’empatia, il self-control, un innato senso di giustizia, l’abilità di esprimerci a parole e ragionare”.
La natura umana e le sue implicazioni morali e politiche sono al centro anche dei suoi libri precedenti. Come funziona la mente e Tabula rasa. Perché non è vero che gli uomini nascono tutti uguali, nonché del suo corso di psicologia cognitiva a Harvard. Ma l’idea di concentrarsi sul tema della violenza in relazione con la morale, Pinker l’attribuisce galantemente alla moglie, la filosofa e romanziera Rebecca Newberger Glodstein: “Dal 2007 ricevevo comunicazioni da ricercatori che sostenevano la tesi del declino della violenza. I dati erano interessanti. Ma è stata mia moglie a convincermi che il tema meritasse indagini più approfondite”.
Che metodo ha usato?
“ I metodi classici della storia quantitativa: raccolta di dati e grafici che dimostrino evoluzioni e curve attraverso il tempo considerato. E fonti estremamente differenziate: dall’archeologia forense all’etnografia quantitativa, dai registri degli obitori dei villaggi medievali europei alle statistiche sulle guerre fornite dal Peace Research Institute of Oslo e dall’Uppsala Conflict Data Project/Human Security Report Project, e una miriade di altre ancora. Escludendo qualsiasi fonte “ideologica” per perseguire la massima obiettività”.
Conclude che viviamo nell’era meno violenta della storia.
Non è quello che si direbbe seguendo le notizie.
“La concentrazione dei media su crimini, tragedie, catastrofi e disastri dipende da altri in altri libri. Io posso citare fatti irrefutabili che mostrano una progressione in declino nel numero delle morti violente nei diversi luoghi e stempi”
Quindi stiamo parlando solo di violenza fisica e individuale, non di violenza di regime o in altre forme?
“Io concentro i miei sforzi sulla violenza contro esseri senzienti: casi di omicidio, assalto, rapimento, violenza sessuale, rapina…sia che a commetterli siano individui, sia gruppi o istituzioni include guerre, genocidi, torture, mutilazioni, esecuzioni capitali”.
E violenze più “sottili” come quella sull’ambiente, la discriminazione, la violenza sugli animali?
“Parlo a lungo della violenza sugli animali in un capitolo dove parlo anche della violenza razziale o contro gli omosessuali, o i bambini, tipi di violenze che hanno generato importantissimi movimenti per i diritti”.
Il ventesimo secolo, con due guerre mondiali, passa per essere il più cruento della storia. Invece?
“Difficile dirlo, ma non credo. E’ vero che i dati dai secoli precedenti sono meno accurati e completi, ma la stima del numero delle morti in rapporto alla popolazione mondiale del tempo ci mostra almeno nove atrocità accadute prima del ventesimo secolo che potrebbero essere state percentualmente peggiori, nelle loro conseguenze, della seconda guerra mondiale. Collassi degli imperi, commercio degli schiavi, annientamento delle popolazioni native, guerre religiose….In questa statistica la prima guerra mondiale non va neppure al decimo posto in classifica”.
Parliamo allora del criterio della statistica. Comparare i numeri delle violenze commesse con la quantità di popolazione non è un po’ come relativizzare il valore della vita umana?
“E’ il criterio più rilevante: la proporzione delle morti, non il numero assoluto. Anche perché, se ci si pensa, con l’aumento della popolazione, aumenta il numero potenziale di assassini, despoti, violentatori e sadici. Se quindi il numero assoluto delle vittime della violenza rimane lo stesso, o persino aumenta, ma la proporzione diminuisce, significa che qualcosa di importante è cambiato, per permettere a tutte queste persone in più di crescere libere dalla violenza”.
E secondo lei cos’è cambiato?
“Per spiegarlo ho dedicato due capitoli alla psicologia della violenza: Non credo nell’istinto innato per la violenza, né in quello al pacifismo, penso che in generale esista un’avversione a causare sofferenza fisica a uno sconosciuto (spesso anche solo per timore della rappresaglia) ma che quest’inibizione venga rapidamente vanificata sotto certe circostanze. Per esempio la ricerca di vendetta. O il cosiddetto “rampage”, che accade quando un gruppo di persone che ha sofferto condizioni prolungate di ansia e paura, improvvisamente isola un avversario vulnerabile e gli si accanisce contro. Poi ci sono il sadismo, l’istinto predatorio, l’ideologia. Ma gli umani sono fortunatamente equipaggiati anche con quattro importanti facoltà per evitare la violenza: empatia, autocontrollo, senso morale e razionalità.”.
Nonostante abbiamo abolito la schiavitù e consideriamo incivile infliggere punizioni corporali, nel mondo di oggi pratiche come la tortura e il traffico illegale di esseri umani sono ancora una realtà in molti paesi. Come li cataloghiamo?
“ Occupandosi di violenza, bisogna avere il coraggio di distinguere il livello di orrore. Come dire, le torture dei prigionieri i sospetti di terrorismo, per quanto orribili, non sono all’altezza di millenni di tortura sadica praticata sulle piazze come forma accettata di punizione significativa dal punto di vista della storia della violenza è comunque quella tra regimi basati su idee totalitarie e democrazie liberali basate sui diritti umani. I dati dimostrano che le democrazie sono enormemente meno “assassine” di altre forme di governo”.
Giorgia Mattioni – Donna di Repubblica – 23-2-13

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