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venerdì 15 febbraio 2013

Lo Sapevate Che: Pinocchio...

Pinocchio Di Carlo Lorenzini (Collodi)

E’molto difficile dire cose nuove e originali su un’opera notissima, diffusa in tutto il mondo. Pinocchio era uscito a puntate nel 1881 sul “Giornale per i bambini” e in volume nel 1883.
Sarebbe sbagliato ascriverlo alla letteratura per bambini dal momento che appare rivolto a tutti.
E’ un libro vivo, fresco, vivace, che più toscano non si può e straordinariamente rapido nel racconto divertente e surreale.
Narra la quotidianità con grazia come in una favola, il tutto inquadrato in un paesaggio rurale, abitato da artigiani, contadini, mercanti nella colorita Toscana del tempo.
Nel mezzo di un bestiario emblematico, come per magia, appare una Fata materna, un filosofo Grillo parlante che muore e risuscita dispensando consigli ed ammonimenti. Siamo in piena epoca umbertina con gli imperativi del riscatto sociale e dell’etica del lavoro che rendono nobile l’uomo. In questo itinerario spicca la figura di un burattino anarchico tutto movimenti e sgarbi. Il falegname Geppetto, padre per la prima volta, voleva per figlio un essere meraviglioso e invece si ritrova un burattino che non vuole farsi manovrare, al di là di promesse e baci, proprio come accade con molti figli ieri come oggi.
Nelle Avventure l’allegria linguistica di Pinocchio sta nel ritmo delle ripetizioni, delle battute e della canzonatura lieta.
Altro personaggio del libro, Mangiafuoco “così brutto che non riesce a mettere paura a nessuno”. Difatti la sua lunghissima barba nera, la bocca a forno, il vocione gravemente infreddato, i sonanti sternuti danno bonomia al ritratto. Pinocchio, che s’arrampica su su per la sua barba ed arriva a posargli “un bellissimo bacio sulla punta del naso”, è un personaggio da favola fuori del tempo.
Allegoria ironica delle cattive compagnie e delle false promesse, il Gatto e la Volpe malandrini nervosi, un poco arruffoni ma assassini compiti quasi garbati.
Arriva la bella Bambina dai capelli turchini “una buonissima Fata che da più di mill’anni abitava nelle vicinanze di quel bosco”. La Fata delle Avventure compare e scompare, muore e risuscita con incantesimi e riti che dissolvono nel sorriso.
Nella sua casa “candida come la neve” si apre l’interno di una cameretta con le pareti di madreperla; in questa cameretta fantastica entrano il Corvo e la Civetta, due medici seriosi e pedanti, i quali si beccano a vicenda con le loro battute di sciocca, compassata sapienza, allegra satira di certi mediconi saccenti che sbagliano le diagnosi.
La Fata, come prima di lei il Grillo parlante, rappresentano l’ordine; con le loro sentenze, con i loro castighi, indicano le regole che non vanno trasgredite. Pinocchio sembra ubbidire sul momento ma è pronto a trasgredire poco dopo. Non s’accorge che la Volpe non era zoppa e il Gatto non era cieco; non li riconosce imbacuccati da fantasmi, tutte incongruenze che danno freschezza al racconto in apparenza silenzioso ma ricco di parole nascoste e di fantasia.
Nelle sue peregrinazioni il burattino incontra la città di Acchiappacitrulli, simbolo della Società del suo tempo: “i cani spelacchiati, le pecore tosate, le galline senza cresta e senza bargigli sono il popolo della miseria”, “Le farfalle che non potevano più volare, i pavoni scodati e i fagiani privati delle scintillanti penne d’oro e d’argento” rappresentano la fine dell’Aristocrazia e infine “la Volpe, qualche Gazza ladra, qualche Uccellaccio di rapina” sono emblematiche della dominante Borghesia affarista, priva di scrupoli. E’ duro vivere in un mondo così brutto e pieno di ostacoli. Viene fuori l’autopedagogia di Pinocchio che nasce dalla riconoscenza per la Fata, dall’amore per papà Geppetto e dalla paura di trovarsi ingrato e senza cuore; di qui il proponimento di diventare buono, ubbidiente, rispettoso e ansioso di fare “mille carezze al babbo e di finirlo dai baci”.
Nello spazio delle avventure, vi sono le strade maestre (da casa a scuola), le strade traverse (da casa al baraccone sonoro di Mangiafuoco), le traverse, i viottoli che si intersecano in un disordine capriccioso e un po’ casuale; simboleggiano il percorso della vita di ciascuno di noi racchiuso in un arco di tempo che si accorcia e si allunga a seconda del ritmo estroso e disordinato del racconto.
Pinocchio conosce ingiustamente l’amarezza della prigione per quattro lunghi mesi e poi la travagliata libertà, raggiunta dopo una lunga e disperata nuotata nel mare fino all’isola delle Api industriose; queste simboleggiano la piccola, onesta Italia di Re Umberto, forse un’isola rispetto a una forte solitudine sociale, a un deserto di solidarietà e amicizia fra gli uomini di questo mondo.
Inseguito dai carabinieri per una falsa accusa di furto di “Un trattato di Aritmetica”, Pinocchio finisce in mare e, di lì in una rete piena di pesci, ad opera di un brutto mostro più umano di Mangiafuoco.
Liberato, il burattino è di nuovo in fuga verso il Paese dei balocchi ricco di tanto buon cibo e bevande a gogò. Per una sorta di legge del contrappasso gli spuntano delle enorme orecchie e si trasforma in una bestia da soma e da circo. Si azzoppa, viene affogato in mare e riappare come un burattino vivo che fa capriole come fosse “un delfino in vena di buon umore”. Finisce nel ventre di una Balena dove incontra il suo babbo Geppetto diventato “tutto vecchio, come fosse di neve o di panna montata”.
Quando il piccolo burattino ed il vecchio falegname s’affacciano dalla bocca spalancata dell’enorme pescecane, c’è per loro lo spettacolo “di un bel pezzo di cielo stellato e di un bellissimo lume di luna”. Altra lunga nuotata di Pinocchio che, coll’aiuto di un Tonno, si porta sulle spalle papà Geppetto nella notte resa splendida da una natura amica. In lontananza appare un’altra casa tutta di paglia e col tetto coperto d’embrici e di mattoni, in contrasto con la prima povera casa di Geppetto. La casa è il punto di riferimento costante del libro: luogo d’arrivo e di partenza, punto di fuga e di ritorno con un “dentro” luminoso e ordinato. Nello specchio Pinocchio non vede più riflessa “la solita immagine della marionetta di legno ma quella vispa e intelligente di un bel fanciullo, coi capelli castani, cogli occhi celesti e con un’aria allegra e festosa come una pasqua di rose”. Accanto “un burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto”.
D.B.

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