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venerdì 22 febbraio 2013

Lo Sapevate Che: Il Futuro....


Il Futuro S’Inventa Curando Una Vigna
Non Dormendo Fino A Mezzogiorno

Gentile signor Serra, ho letto la lettera, sul numero 1297 del Venerdì, Meno call center e più imbianchini e la sua risposta. La botta e la risposta sembrano quasi un manifesto di ciò che la vostra generazione pensa della nostra, cioè che ci dobbiamo svegliare dal torpore delle false illusioni nelle quali siamo cresciuti. E che dobbiamo indirizzare le nostre esistenze verso lavori anche poco gratificanti ma che, al contrario sono in grado di sostenerci.
Effettivamente, quando la situazione è drammatica e non ci sono prospettive, l’unica cosa da fare è scegliere ciò che permette di mettere assieme il pranzo con la cena. Mi chiedo solo se ciò rappresenti la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza. Alla fine, il problema si risolve nell’accollare alle fasce più deboli i problemi strutturali di un’intera società. Non le sembra strano che l’Italia sia tra gli ultimi posti in Europa come numero di laureati e che contemporaneamente i pochi che ci sono non trovano lavoro per ciò che hanno studiato? Credo che nessun neo laureato pretenda grosse remunerazioni, posti fissi, ecc, ma almeno la sensazione che con impegno, fatica e determinazione si può mettere a frutto ciò per cui si è speso gran parte della vita.
Il punto critico del vostro ragionamento è che viene fornita una visione non rivoluzionaria ma involutiva per il futuro della nostra comunità. Che messaggio si trasmette se si dice che non c’è speranza e che conviene andar direttamente ad orientarsi verso lavori manuali perché tutto il resto  è precluso? Amo il rugby, è una scuola di vita, per esperienza ho visto che scendere in campo dandosi già per vinti è il modo migliore e tranquillo per farsi del male.
Davide Stona / mail

Caro Davide, la tua lunga lettera (scusa se ho dovuto tagliarne gran parte) mi aiuta a spiegarmi meglio. Non penso affatto che i giovani “debbano accontentarsi”.
E mi è molto chiara la differenza tra sopravvivenza e vita, tra galleggiare e nuotare davvero, cercando di scegliere il proprio destino. Poche settimane fa, rispondendo a un tuo coetaneo che voleva studiare danza in contrasto con la volontà della sua famiglia, l’ho (ovviamente) incoraggiato a insistere: niente è più deprimente di un adulto che per eccesso di realismo (o per sua frustrazione personale) scoraggia le speranze e gli azzardi di chi deve ancora giocare la sua partita.
Altro è il discorso sulla dequalificazione (anche economica<9 di molti lavori intellettuali, quelli che una volta si chiamavano “di concetto”, e sull’urgenza di rivalutare l’utilità e il fascino di lavori manuali, o tecnici, che sono qualificati, creativi, innovativi, remunerativi. Ti chiedi, giustamente: se un giovane studia parecchi anni per laurearsi, non è scandaloso che non possa accedere al lavoro per il quale si è preparato? Lo è, non c’è dubbio. E’ uno degli aspetti più duri e più disperanti della crisi in atto. Ma in quella visione “rivoluzionaria” del futuro che pretendi, una visione reattiva e combattiva, da rugbista, sono sicuro che ci debba essere anche una radicale revisione di molte delle convenzioni sociali e dei luoghi comuni che gravano sul lavoro.
Ci sono eccellenze artigianali costrette a ricorrere a manodopera straniera perché sono disertate – per perbenismo? Per conformismo? – dai ragazzi italiani. E ci sono – per fortuna – segni di inversione di tendenza: per esempio un risorgente fascino dell’agricoltura, che per i nostri avi fu soprattutto durezza e povertà, ma oggi è qualità, tecnologia, cultura, salute, ambiente, commercio, ricerca, impresa….
Bisogna accontentarsi? Al contrario bisogna pretendere molto. Che si abbia in tasca una laurea o un diploma o niente. Ma bisogna inventare quasi daccapo, caro Davide, le occasioni, gli obiettivi, i percorsi. Svegliarsi alle sei per curare una vigna può essere molto più rivoluzionario che dormire fino alle tre del pomeriggio aspettando che qualcosa accada.
E scusami se in quest’ultima frase c’è il retrogusto di una critica generazionale.
Michele Serra – Venerdì di Repubblica – 15-2-13

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