Quando I Diciottenni Hanno Già Le Idee Chiare
Non scoraggiatevi perché il futuro, anche quando vi appare incerto e minaccioso, è comunque vostro
Sono una ragazza di diciotto anni che frequenta l’ultimo anno di liceo classico. Sono stata alla manifestazione dello scorso 14 novembre e ho partecipato al corteo come altre volte. L’ho fatto per comunicare il mio dissenso, pacificamente, come molti altri. Ma l’apparire tutti insieme arrabbiati, ma sicuri che insieme le voci saranno più forti, sta perdendo valore. La cosa che più mi lascia amareggiata è che di una grande mattinata, di un fiume di gente, rimangono solo i numeri delle persone ferite, l’amarezza, i piedi stanchi, le famiglie spaventate. Rimangono gli slogan offensivi contro le forze dell’ordine perché, dopo tutto, gli unici rimasti a metterci la faccia sono loro.
Quello che le televisioni mandano in onda è una guerriglia urbana tra la polizia e i facinorosi che troppo spesso dimenticano che un poliziotto è un uomo come tutti noi, con dei problemi e con le sue lotte interne ed esterne. Le teste calde ci sono ovunque, mi sfugge però il motivo del distruggere la città, come se saccheggiare strade e banche, imbrattare i muri e spaccare vetrine ci aiuti a superare le nostre difficoltà. Della lotta unita tra noi e le forze dell’ordine, l’unione del proletariato che tanto aveva auspicato Pasolini ancora una volta è lontana da noi anni luce. Condanno i gesti di abuso di potere della polizia, ma condanno allo stesso modo i gesti vandalici e provocatori di alcuni giovani. Ritengo che ancora una volta stiamo perdendo il messaggio. La violenza è l’argomento che colpisce, quello che attira l’attenzione, e di questo che si parla per giorni. Ma il perché tutta quella gente si trovava lì insieme chi se lo ricorda? Quel che resta sono i manifestanti delusi, i poliziotti frustrati e il rimbombare di slogan. Vorrei sapere cosa rimane ai giovani se il futuro è incerto e il presente ce lo roviniamo l’un l’altro. Basta scontri, lottiamo per il nostro futuro e facciamolo senza provocazioni, perché solo quando non gli daremo più l’occasione di parlare d’altro dovranno parlare di noi, la protagonista assoluta per una volta sarà l’indignazione.
Chiara
Risposta. Le manifestazioni degli studenti sono come gli scioperi degli operai, difficilmente approdano alla soluzione dei problemi. Hanno però il vantaggio di evitare la rassegnazione di fronte all’ingiustizia o all’inefficienza di chi lascia marcire i problemi, il ripiegamento su se stessi, la solitudine dei singoli lasciati soli con i loro problemi spesso drammatici, inoltre portano nelle piazze un’unica voce che, se non fosse collettiva, sarebbe silente in questa nostra società fatta di solitudini di massa.
La controparte, a cui la piazza vorrebbe far sentire la sua voce, aspetta solo che i manifestanti si sfoghino e tutto torni come prima. Questo mancato ascolto della controparte è già messo in conto dai partecipanti alle manifestazioni. E da questa anticipata consapevolezza nascono quei gesti inutilmente violenti, che lei opportunamente denuncia, su cui si buttano i media naturalmente più audience mostrando gli episodi di violenza, di quanta ne avrebbero illustrato i temi della manifestazione. Il risultato è che i problemi che le piazze agitano e che la controparte già di suo non ascolta, vengono del tutto tacitati, perché non si discute con la violenza.
Nonostante la sua giovane età vedo che lei cita Pasolini che, pur essendo uomo di sinistra, prese la difesa dei poliziotti che nelle manifestazioni fronteggiavano quelli che lui riteneva figli della borghesia che, nelle loro manifestazioni, usavano violenza contro le forze dell’ordine, composte da persone molto più sfortunate di loro e dalla vita senz’altro più difficile.
La sfortuna della vostra generazione è che vivete in un mondo dove tutti i rapporti, tutti i valori, tutte le occasioni lavorative sono regolate dal mercato che, come un’entità metafisica e invisibile, incide pesantemente
sulla vostra vita, senza che la vostra ribellione lo scalfisca minimamente. E’ il mercato che chiude le fabbriche o le de localizza, è la crisi finanziaria che impoverisce la scuola, la sanità i servizi sociali. E siccome il mercato, al pari di Dio, non ha un volto eppure è in ogni luogo, come lo si riconosce e dove lo si incontra quando gli si vuol parlare faccia faccia? In ogni caso non scoraggiatevi, perché il futuro, ancora minaccioso, se non altro per ragioni biologiche, è vostro. E perciò su di voi ricade la possibilità e in qualche momento l’opportunità di inventare un altro mondo.
Umberto Galimberti – Donna di Repubblica -9-2-13
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