Antoine Henri Becquerel stava studiando la fosforescenza quando,
grazie a una manciata di sali di uranio, alla passione per la fotografia e a un
pizzico di curiosità (che non può mancare nella storia di uno scienziato)
scoprì la radioattività naturale... in un cassetto!
Henri nacque a Parigi il 15 dicembre del 1852 in una famiglia con
una spiccata tradizione scientifica: il nonno Antoine César, fisico, aveva
compiuto studi nel campo dell’elettrolisi, il padre Aleksander Edmond, sempre
fisico, si era appassionato allo studio della radiazione solare e alla
fosforescenza, passione che trasmise al figlioletto. Fin da piccolo, Henri
amava andare nel laboratorio del padre e, soprattutto, era entusiasta di
assistere agli esperimenti del genitore.
Da giovane frequentò il liceo Louis-le-Grand prima di entrare
all’École Poly technique e infine all’École Nationale des Ponts et Chaussées,
letteralmente la scuola di ponti e strade, la più antica istituzione formativa
per ingegneri del mondo, fondata in Francia nel 1747. Nel 1877 ottenne il
titolo di ingegnere e un posto di lavoro presso il Dipartimento Nazionale Ponti
e Strade, diventando ingegnere capo nel 1894. In parallelo al lavoro da
ingegnere, iniziò a dedicarsi all’insegnamento, dapprima come assistente e dal
1895 come docente all’École Poly technique, e dal 1878 al Conservatorio di Arti
e Mestieri. Nel 1892 divenne il terzo Bequerel a occupare la cattedra di fisica
al Dipartimento di Storia Naturale del Museo di Parigi. Nel frattempo proseguì
gli studi conseguendo nel 1888 il dottorato di ricerca alla Facoltà di Scienze
di Parigi, discutendo una tesi sull’assorbimento della luce nei cristalli.
Inizialmente la sua attività di ricerca fu prevalentemente dedicata all’ottica:
studiò la rotazione della luce visibile polarizzata in campo magnetico e
successivamente iniziò ad interessarsi all’emissione di radiazione infrarossa
da parte di cristalli fosforescenti.
Henri stava portando avanti delle ricerche sulle sostanze
naturalmente fosforescenti quando, nel gennaio del 1896, assistette a un
seminario all’Accademia francese delle Scienze nel quale apprese della scoperta
dei raggi X fatta pochi mesi prima da Wilhelm Röntgen. Iniziò allora a pensare
che ci fosse una connessione tra gli invisibili raggi X e la fluorescenza che
osservava nei suoi esperimenti. Iniziò quindi a effettuare una serie di esperimenti
per verificare la sua ipotesi che i materiali fluorescenti emettessero, oltre
alla radiazione visibile, anche raggi X. Becquerel si mise al lavoro con dei
sali di uranio che gli aveva donato il padre che, dopo essere stati esposti
alla luce solare, emettevano luce fluorescente. L’esperimento di Becquerel
consisteva nel mettere delle lastre fotografiche all’interno di un involucro di
carta nera che non lasciasse passare la luce, posizionare i cristalli di sali
di uranio sull’involucro, esporre il tutto al sole e poi sviluppare la lastra.
Sebbene quest’ultima non fosse stata direttamente esposta alla luce, nello
sviluppo comparivano chiaramente le sagome dei cristalli di uranio. Inoltre,
mettendo degli oggetti come monetine o forme varie di metallo tra la lastra
(sempre completamente schermata) e il cristallo, nell’immagine compariva la
forma dell’oggetto. Becquerel ne dedusse che i sali fosforescenti di uranio
assorbissero la luce solare ed emettessero una radiazione penetrante in grado
di attraversare la carta opaca e impressionare la pellicola, una radiazione
molto simile alla radiazione X, come concluse nella sua relazione del 24
gennaio 1896 all’Accademia francese delle Scienze.
La sua ricerca sarebbe dovuta continuare nei giorni successivi,
ma Parigi fu coperta da una coltre di nubi per diverse settimane e Henri mise
in un cassetto la lastra che aveva preparato, la croce di metallo della quale
avrebbe voluto vedere l’immagine e i sali di uranio.
Il 1 marzo aprì il cassetto e l’immancabile curiosità dello
scienziato che era in lui gli suggerì di sviluppare la lastra anche se non era
riuscito a esporre il suo esperimento alla luce del Sole. Henri si aspettava
tutt’al più una debolissima immagine, invece, con grande sorpresa, si trovò a
osservare un’immagine incredibilmente nitida della croce di metallo che aveva
riposto nel cassetto. Dunque la radiazione che oltrepassava l’involucro opaco
non poteva che provenire dal composto di uranio stesso, dimostrando così che la
proprietà non era dovuta all'assorbimento di radiazione solare.
A dare un nome a quella radiazione ci pensò poco dopo una
brillante studentessa di Becquerel, una certa Marie Curie che la battezzò
inizialmente come “raggi Becquerel” per poi coniare il termine con il quale la
chiamiamo ancora oggi: radioattività. Nel 1898 Pierre e Marie Curie scoprirono
altri elementi con le stesse proprietà dell’uranio: il torio, il polonio e il
radio. Nel 1903 Becquerel condivise il Nobel con Pierre e Marie Curie, premio
assegnato “in riconoscimento agli straordinari servizi resi dalla sua scoperta
della radioattività naturale”.
Tra il 1899 e il 1890 Becquerel studiò la radiazione emessa da
questi elementi. La prima scoperta fu che la radiazione emessa era costituita
da particelle cariche poiché in presenza di campi elettrici veniva deflessa.
Utilizzando campi elettrici e magnetici misurò che un tipo di radiazione
emessa, la cosiddetta radiazione beta, era costituita da particelle con massa e
carica elettrica uguali a quelle recentemente scoperte da Thomson nei raggi
catodici, ovvero gli elettroni. Studiando l’emissione dell’uranio stabilì
inoltre che questo diminuiva la sua attività nel tempo. Nel 1902 Rutherford e
Soddy spiegarono la radioattività come il processo di transmutazione spontanea
di un atomo.
L’atteggiamento scientifico di Henri Becquerel è testimoniato
dall’articolo che scrisse dopo aver erroneamente (almeno a quanto raccontò lui)
riposto nella tasca della camicia un tubetto di vetro contenente sali di radio
con elevata attività radioattiva. L’articolo, dal titolo “Azione fisiologica
dei raggi di radio”, scritto a quattro mani con Pierre Curie, descriveva con
molta oggettività i danni conseguenti alle emissioni dell’elemento radioattivo:
bruciature e ulcere sulla pelle che Becquerel dovette curare per oltre un mese.
Considerando che Pierre e Marie Curie si esponevano volontariamente alle
radiazioni per studiarne gli effetti biologici, non si può esser certi che
quella di Becquerel sia stata soltanto una disattenzione. Henri Bequerel morì a
soli 55 anni a Le Croisic, in Bretagna. Fu un pioniere, diede un contributo
cruciale al processo di comprensione della fisica subatomica che tra la fine
del 1800 e l’inizio del secolo scorso era agli albori. Suo figlio Jean seguì le
orme del padre diventando, il quarto fisico in famiglia.
A Henri
Becquerel sono dedicati un cratere sulla Luna e uno su Marte. E il becquerel
(Bq) è l’unità di misura del Sistema Internazionale per l’attività di un
campione radioattivo: 1 becquerel equivale a 1 disintegrazione al secondo. Il
nome di Henri è rimasto dunque legato alla sua casuale ma fondamentale
scoperta. (Biografia della rubrica “Vita da genio” a cura di Chiara Oppedisano)
https://scienzapertutti.infn.it/rubriche/biografie/832-henri-becquerel
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