Si apre nel Pd la
difficile della sua breve storia. Da una parte il tramonto di Berlusconi che
costringerà a ripensare missione e contenuti. Dall’altra la sfida del sindaco
di Firenze. Che non è solo generazionale
Tra tensioni e veleni comincia nel Pd la stagione più
delicata della sua breve storia. Non sarà facile, non sarà piacevole.
E metterà a dura prova la tenuta del partito, la sua stessa
identità. Gli appuntamenti in agenda sono decisivi. Da una parte si avvia inesorabilmente
al tramonto, e certo non senza pesanti colpi di coda, il ventennio
berlusconiano che ha congelato la sinistra concentrandola su un’unica missione:
liberarsi di B. Ora bisognerà ricominciare daccapo parlando non più di lui, ma
di contenuti e obiettivi. Dall’altra Matteo Renzi si appresta a conquistare la
leadership del partito come trampolino per la candidatura a premier (“Il
fattore R”, “l’Espresso” n.35). Un’epoca si chiude, una si apre.
I due eventi si intrecciano, si condizionano, dall’uno possono
derivare i tempi e i contenuti dell’altro. Si comincia con l’impegno più
gravoso, la riunione della giunta delle immunità chiamata a pronunciarsi sulla
decadenza di Berlusconi da senatore dopo la definitiva condanna per frode
fiscale. Alla scadenza il Pd arriva sull’orlo di una crisi di nervi. Del resto
Berlusconi e i suoi cari stanno facendo di tutto per stressare i parlamentari,
aprire crepe nel fronte del sì, giocare sulle contraddizioni interne del
partito.
Basta che B. parli perché tutti perdano la testa; basta
che annunci richieste di grazia o lanci
ultimatum per la sorte del governo per scatenare i dubbi di stuoli di
giuristi e il terrore dei peones. E però il Pd sa bene che non sono possibili
ripensamenti di sorta, scappatoie, exit strategy: un no alla richiesta di
decadenza suonerebbe incomprensibile per il popolo democratico e forse
sancirebbe perfino la fine del partito; ma lo stesso sapore avrebbe anche un
rinvio a tempo indeterminato di ogni decisione.
Il nervosismo aumenta se si pensa che nel campo di battaglia
c’è ora un altro contendente: il giovane Renzi. Sciolte le ultime riserve, il
sindaco punta al bersaglio grosso con una strategia capace di tenerlo in prima
linea sia che il governo duri a lungo sia che si vada a votare prima del tempo.
Ha poi capito che per vincere non può presentarsi alla sfida da urside e per
questo non si perde una festa del Pd (le primarie sono cominciate in Emilia) e
rassicura il suo popolo: “Sono uno di voi”. Solo un anno fa, nelle stesse
feste, a chi chiedeva un giudizio sul rottamatore, big e leader rispondevano:
“Non è uno di noi”. Oggi molti di loro sostengono la sua corsa per la
leaderschip.
Insomma la partita è cominciata, ma il risultato non è
scontato. E’ difficile per esempio che a Renzi riesca l’en plein, cioè
conquistare segreteria e candidatura alla premiership: glielo impediranno,
baratteranno una carica con l’altra. Perché, alla fine, su tutto sono disposti
a chiudere un occhio i maggiorenti del Pd, tranne che sul controllo del
partito. Ma non è l’unico ostacolo che lo sfidante incontrerà.
Il paradosso vuole che la sua vittoria passi per un’intesa
con i big – Franceschini, Veltroni, Fassino, Bettini – che ora lo appoggiano
forse solo nella speranza che ciò serva a scongiurare la fine delle larghe intese;
ma passi anche per un tacito accordo con quella che potrebbe diventare domani
la minoranza dura e pura che non lo vuole alla guida del partito, ma lo
accetterebbe come candidato premier: Bersani, D’Alema, Rosy Bindi. Mostri sacri
che un anno fa Renzi avrebbe rottamato e con i quali invece dovrà scendere a
patti in vista della battaglia congressuale . Stando ben attento a non farsi
travolgere.
A voler azzardare paragoni con la storia della Prima
Repubblica verrebbe da pensare più alla congiura del Midas che nel 1976 portò
Craxi alla segreteria del Psi che al Patto di San Ginesio che pochi anni prima
aveva chiuso nella Dc la stagione dorotea grazie all’alleanza trasversale dei
quarantenni (De Mita e Forlani). Allora fu un patto generazionale che oggi nel
Pd potrebbero incarnare Letta e Renzi. Ma per ora i loro interessi contingenti
divergono. E forse sarà questo a tardare oggi (e forse a favorire domani,
chissà) la definitiva conquista postdemocristiana del Pd.
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 12-9-13
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