La Legge Della Famiglia E La Legge Di Tutti
“Chi è corretto nei rapporti familiari, sarà giusto anche verso la città (Antigone, vv. 661-662)
Il cenno che lei ha fatto su D dell’8 dicembre scorso all’Antigone di Sofocle mi sembra estremamente illuminante su alcuni aspetti etici della società contemporanea, e vorrei se possibile che Lei approfondisse la riflessione sul lato oscuro del personaggio della principessa tebana. Antigone, universalmente conosciuta come icona di un senso di giustizia universale, nella lettura che lei ne dà diviene quasi emblema del nostro “familismo amorale”.
Se non sbaglio, lei fa riferimento alla cosiddetta interpretazione giuspositivista dell’Antigone, che legge in positivo le istanze legalitarie di Creonte opposte alle forze oscure del legame del clan di Antigone. Si tratta di un’interpretazione della tragedia sofoclea fortemente minoritaria nei nostri anni, tanto che sono sicuro che qualcuno leggendo le sue righe possa essere rimasto sorpreso e turbato. In realtà già Hegel nell’Estetica (ed. Feltrinelli, p. 612) scriveva: “Antigone invoca la legge degli dèi; ma gli dèi che onora sono gli dèi inferi dell’Ade, quelli interni del sentimento, dell’amore, del sangue, non gli dèi della luce, della libera e autocoscienza vita statale e popolare”. In questo modo Hegel valorizza le istituzioni legalitarie dello Stato rispetto alle forze oscure e primitive delle leggi naturali.
Di che Antigone abbiamo bisogno oggi? Di un’icona di giustizia che sta dalla parte dei vinti, o di una testimone della difficoltà di superare lealtà oscure di ascendenza familistica o tribale? Forse di quest’ultimo aspetto
Dovremo discutere in Italia, noi collusi con un sistema di privilegi difficile da estirpare, non solo negli ambiti di potere ove risulta ostentatamente esagerato, ma anche nel “ventre molle” del paese ove il fenomeno è meno appariscente ma ugualmente dannoso, per il suo carattere ramificato e omnipervasivo che ne ostacola qualsiasi tentativo di riforma.
Vittorio Lega
vittoriolega@libero.it
Per chi non la conoscesse, riassumo qui per sommi capi, l’Antigone di Sofocle, Creonte, sovrano di Tebe, ordina che Polinice, fratello di Antigone, non debba essere sepolto, e perciò non trovi pace nell’Ade, per aver tradito la patria a cui aveva fatto guerra con aiuti esterni. Antigone non intende obbedire alle disposizioni di Creonte e seppellisce il fratello. Sorpresa, viene condotta davanti a Creonte a cui dice che seppellire i cadaveri è una legge degli dèi a cui le leggi umane non possono opporsi. Insensibile alle parole di Antigone, Creonte la condanna, rinchiudendola in una grotta, dove Antigone pone fine alla sua vita e con lei Emone, figlio di Creonte, che si era innamorato di lei.
Il coro, che rappresenta gli anziani di Tebe, sta dalla parte di Antigone, ma non ha il coraggio di opporsi a Creonte; l’indovino Tiresia accusa invece Creonte di empietà e lo ammonisce a non sfidare l’ira degli dèi che lo puniranno con la morte del figlio. Sofocle dunque presenta Creonte come tiranno malvagio e Antigone come eroina.
Hegel, che lei opportunamente cita, non concorda con Sofocle, perché a suo parere i diritti del sangue e della parentela, non possono aver la meglio sulle leggi della città. Con tutta la pietà e la comprensione che si può avere per Antigone, Hegel ha ragione, perché la legge del sangue innesca la catena delle vendette, come le tragedie greche dimostrano. Una catena che si interrompe solo quando, come narra Eschilo nell’Orestea, si affida il conflitto al tribunale della città.
Ma soprattutto, volendo riportare ai giorni nostri e in particolare alla situazione italiana il tema dell’Antigone, non vinceremo mai la mafia se la legge della parentela e del sangue hanno la meglio sulla legge della città, non arriveremo mai a migliorare la città se la legge familistica della raccomandazione, delle conoscenze, dello scambio di favori privilegia figli e parenti ai meritevoli. E non vale neppure invocare, come fa Antigone, le leggi non scritte e immutabili degli dèi, perché non può esserci interferenza religiosa nella formulazione e nell’ossequio alle leggi della città, come invece al contrario capita spesso da noi.
Sofocle, mettendo in scena il conflitto tra la legge del sangue, della parentela, degli dèi e la legge della città, offre nel V secolo a.C. un grande tema su cui riflettere e intorno a cui decidere da che parte stare. Noi italiani non abbiamo ancora del tutto imparato a stare senza esitazione dalla parte delle leggi della città. E questa è senz’altro ciò che ancora è alla base della nostra arretratezza e del nostro mancato sviluppo.
Umberto Galimberti- Donna di Repubblica – 2-02-13
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