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domenica 10 giugno 2012

Lo Sapevate Che: La volta che si costruirà un vero Stao Federale Europeo



Draghi, Bersani
varie ed eventuali
di EUGENIO SCALFARI
Il cantiere per la costruzione dell'Europa e per la messa in sicurezza dell'euro è stato finalmente aperto e registra alcune novità di notevole importanza. Per comprendere che cosa stia accadendo occorre anzitutto distinguere due diversi livelli operativi: quello dell'emergenza, con obiettivi di breve e brevissimo termine, e quello a più lungo raggio della nascita di un'Unione europea molto più integrata e con maggiore sovranità politica.

I protagonisti che operano su entrambi i campi di gioco sono la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Hollande, il presidente del Consiglio italiano Mario Monti, il presidente della Bce, Mario Draghi, e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Cinque leader di diverso peso divisi in due schiere: la Merkel da un lato, gli altri quattro dall'altro. Ma le novità verificatesi negli ultimissimi giorni è la cancelliera tedesca ad averle messe in campo: la Germania esce dall'angolo in cui era stata chiusa dai fautori d'una politica europea di sviluppo e propone l'obiettivo di costruire lo Stato federale europeo attraverso la necessaria cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali per quanto riguarda i bilanci, il fisco, il ruolo della Banca centrale.

Viceversa la Merkel concede pochissimo spazio ai provvedimenti dettati dall'emergenza: nessuna federalizzazione dei debiti sovrani, nessun mutamento nel ruolo della Banca centrale, limitatissime concessioni sui bond a progetto e sul finanziamento degli investimenti transfrontalieri.

Nessun
allentamento del rigore, approvazione immediata del "fiscal compact" e della riduzione dei debiti sovrani eccedenti il 60 per cento del rapporto con il Pil.

Su un solo punto importante tra quelli imposti dall'emergenza anche Berlino sembra d'accordo: il Fondo europeo di stabilità è pronto a finanziare le banche spagnole purché il governo di quel Paese dia garanzie di adottare in tempi rapidi i provvedimenti di riforma già concordati con le autorità europee ma non ancora resi esecutivi. La risposta positiva di Madrid renderà possibile l'intervento che finanzierebbe le banche spagnole fino a cento miliardi di euro. A fronte di quest'operazione la "proprietà" di quelle banche passerà temporaneamente al Fondo europeo separando il debito sovrano spagnolo dal debito del suo sistema bancario e interrompendo così il perverso circuito che rappresenta una minaccia diretta contro l'intera architettura finanziaria dell'eurozona.


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La strategia della Merkel può essere letta da due diversi punti di vista: la manifestazione di una decisa volontà della Germania di mettersi finalmente alla guida della costruzione d'un vero Stato federale europeo con tutte le implicazioni che riguardano il rafforzamento delle istituzioni dell'Unione, dal Parlamento ai poteri della Commissione e a quelli del presidente del Consiglio europeo dei ministri. Oppure lo si può guardare come un bluff utilizzato per coprire l'ennesimo "niet" sui provvedimenti di emergenza e di rilancio dello sviluppo. La costruzione dello Stato federale europeo richiederà almeno cinque anni; la Merkel avrebbe perciò lanciato la palla in tribuna solo per guadagnar tempo fino alle elezioni politiche che avverranno nel suo Paese nell'autunno del 2013. Poi si vedrà.

Gli altri quattro protagonisti del quintetto europeo hanno a questo punto una sola strada da battere: prendere la Merkel in parola per quanto riguarda l'obiettivo di lungo termine e ottenere il massimo possibile per fronteggiare l'emergenza e salvare l'euro e le banche europee. Draghi ha guadagnato all'Europa sette mesi di tempo iniettando fino al 15 ottobre del 2013 (con scadenza finale nel gennaio 2014) liquidità illimitata nel sistema bancario dell'eurozona. Ha evitato in questo modo che i depositanti facciano ressa agli sportelli delle banche per trasferire i loro capitali verso i titoli pubblici tedeschi. Sette mesi e una capsula d'ossigeno dentro la quale custodire i depositi bancari facendo migliorare lo "spread" e l'andamento delle Borse. Sempre che le elezioni greche del 17 prossimo non portino all'uscita di quel Paese dall'euro con le devastanti conseguenze che ne seguirebbero. Non credo che ciò avverrà sicché continuo a restare ottimista per quanto riguarda la tenuta dell'euro e  -  spero  -  la costruzione dell'Europa federale. Talvolta dal male nasce il bene e dopo la tempesta arriva la quiete.

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Vale la pena di ricordare che nel quintetto europeo ci sono due italiani: Mario Draghi, che opera a tutto campo e con strumenti che gli consentono interventi immediati e concreti, e Mario Monti (con Giorgio Napolitano alle spalle) che rappresenta nel concerto europeo uno dei Paesi fondatori dell'Unione, dell'euro e della Comunità che ebbe inizio nel 1957 e da cui tutto cominciò.

Monti è alla guida d'un governo sorretto dalla "strana maggioranza" di tre partiti. Uno di essi, quello fondato a suo tempo da Berlusconi, è in una fase di implosione confusionale e in calo verticale dei consensi. Gli altri due  -  Udc e Pd  -  sono il vero appoggio su cui si regge questo governo. Il Pd in particolare, che è tuttora stimato attorno al 25-30 per cento dei consensi degli elettori decisi a votare, che a loro volta però rappresentano soltanto uno scarso 50 per cento del corpo elettorale.

In questa situazione una parte del Pd, alla vigilia dei vertici europei dei quali abbiamo già sottolineato l'importanza, ha dichiarato la sua propensione ad accorciare la vita del governo andando al voto nell'autunno prossimo anziché nel maggio del 2013. Il segretario Bersani ha ribadito che l'appoggio dei democratici al governo durerà, come stabilito, fino alla scadenza naturale della legislatura, ma i fautori delle elezioni anticipate hanno proseguito la loro azione in raccordo con Vendola e Di Pietro. Questa situazione non è sostenibile soprattutto perché i "guastatori" fanno parte della segreteria del partito. La logica vorrebbe che, acclarato il loro contrasto con il segretario, si fossero dimessi dalla segreteria. In mancanza di questa doverosa decisione, spetterebbe al segretario stesso di sollecitare quelle dimissioni o alla direzione costringerli a darle ma il tema non è stato neppure accennato nella riunione dell'altro ieri della direzione, come si trattasse d'una questione di secondaria importanza.

È presumibile perciò che continueranno a svolgere il loro ruolo di guastatori con la conseguenza di indebolire il governo in carica.

La stessa coltre di silenzio è caduta sul caso Penati di cui è imminente il rinvio a giudizio. Questa era l'ultima occasione utile per separare le responsabilità del partito dal gruppo dirigente del Pd in Lombardia. Non si invochi la presunzione d'innocenza fino a sentenza definitiva: è una giusta garanzia che non si applica però al giudizio politico che un partito ha l'obbligo di emettere: o fa corpo con l'imputato fino in fondo o lo espelle fin dall'inizio dai propri ranghi.

Ma c'era un terzo tema di cui il Pd avrebbe dovuto discutere e che ha anch'esso sepolto invece sotto un silenzio tombale ed era quello dell'elezione dei membri dell'Agcom e della Privacy, due importanti Autorità pubbliche che hanno il compito di esercitare il controllo sui rispettivi e importantissimi settori di competenza.

Si sperava che i partiti avrebbero scelto  -  secondo quanto prescrive la legge istitutiva di quelle agenzie  -  persone di provata indipendenza e di specifica competenza nei settori sottoposti alla vigilanza. Ma non è stato così. C'è stato tra i tre partiti in questione un ignobile pateracchio di stampo tipicamente partitocratico. Veltroni ha sollevato la questione in direzione e Bersani si è doluto di quanto era accaduto impegnandosi a riscrivere la legge. Ma in realtà la legge sulla nomina di quelle agenzie è chiarissima ed è stata violata dalle scelte dei partiti.

Le nomine hanno la durata di sette anni e quindi se ne riparlerà soltanto nel 2019.

Sulle altre questioni, programma, legge elettorale, rinnovamento del gruppo dirigente, eventuali liste civiche collegate al partito e infine elezioni primarie per l'elezione del capo del partito, Bersani è stato chiaro e determinato riscuotendo a buon diritto l'unanimità dei consensi.

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Il governo Monti, come ripetiamo ormai da tempo, ha fatto molto per evitare che l'Italia fosse travolta dalla crisi mondiale in corso ormai da cinque anni, alla quale il governo del suo predecessore non aveva opposto alcun rimedio negandone anzitutto l'esistenza e praticando poi una politica economica di totale immobilismo.

Negli ultimi tempi tuttavia è sembrato che Monti abbia perso smalto, in parte per l'ovvia impopolarità dei sacrifici che ha dovuto imporre e in parte per alcuni errori compiuti, anche ed anzi soprattutto sul piano della comunicazione.

A questo riguardo gli rivolgiamo qui due domande che ci riserviamo di ripetergli quando lo incontreremo al "meeting" di Repubblica sabato 16 a Bologna dove ha cortesemente accettato di intervenire.

1. Esiste in Italia una questione morale? La domanda non riguarda, o non soltanto, i casi di disonestà di singoli uomini politici. Purtroppo ce ne sono stati e ce ne sono molti in tutti i partiti. La domanda riguarda soprattutto le istituzioni dello Stato e degli enti pubblici che sono state da gran tempo occupate dai partiti e che debbono essere liberate da quell'occupazione e restituite alla loro autonomia istituzionale. Il caso delle autorità è tipico di quest'occupazione, la Rai è un altro esempio desolante (alla quale Monti ha posto parziale rimedio proprio ieri). E così le Asl e ogni sorta di enti della Pubblica amministrazione. È stupefacente che l'Unità di venerdì scorso pubblichi un articolo in cui si difende l'intervento politico dei partiti nelle nomine dei componenti dell'Agcom e della Privacy. Stupefacente che si teorizzi il criterio della supremazia partitocratica anche sugli enti "terzi" chiamati a garantire il controllo e l'efficienza della Pubblica amministrazione. Questo quadro non configura una questione morale da affrontare da un governo che giustamente vorrebbe cambiare i comportamenti degli italiani?

2. L'ex ministro dell'Economia Vincenzo Visco formulò qualche anno fa un progetto di grande interesse che prevedeva il conferimento ad un Fondo europeo di quella parte dei debiti sovrani eccedenti il rapporto del 60 per cento con il Pil di quel Paese. Il Fondo avrebbe applicato un interesse ottenuto dalla media ponderata degli interessi vigenti nei singoli Paesi i quali sarebbero comunque rimasti titolari dei propri debiti. Piacerebbe sapere dal nostro presidente del Consiglio se un progetto del genere rientri tra le proposte per la costruzione dell'Europa federale. Sembrerebbe infatti molto strana un'Unione federale senza una messa in comune anche se parziale del debito degli Stati membri della federazione.

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Concludiamo richiamando quanto detto da Monti l'altro giorno a Palermo al convegno delle Casse di risparmio a proposito dei "poteri forti" che avrebbero abbandonato il suo governo schierandoglisi contro.
Non sappiamo quanto sia pertinente questa denuncia con la politica del governo, ma una cosa è certa: alcuni "poteri forti" sono insediati fin dall'inizio nella struttura del governo stesso e quelli sì, remano sistematicamente contro la sua politica.

Qualche nome per non esser generici: il capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Vincenzo Fortunato; il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà; il ragioniere generale del Tesoro, Mario Canzio, sono certamente abili conoscitori della Pubblica amministrazione, ma hanno un difetto assai grave: sono creature di Gianni Letta (Catricalà) e di Giulio Tremonti (Fortunato, Canzio). Sono sicuramente poteri forti e sono sicuramente contrari alla linea del governo come ogni giorno i loro comportamenti dimostrano. Forse il presidente Monti dovrebbe risolvere questo problema. Spesso la paralisi governativa viene perfino da quegli uffici.

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