La parte meridionale della penisola balcanica, fra il mare Ionio e il mare Egeo, culla della civiltà occidentale, che ha plasmato in modo indelebile sia all'origine sia nelle innumerevoli riprese e reinterpretazioni dell'eredità ellenica, nelle quali consiste gran parte della storia dell'Occidente. Modello dello spirito apollineo e del dionisiaco, con la sua lingua e la sua civiltà la Grecia ha inventato la poesia (epica, tragica, lirica, comica), la filosofia, la politica, le arti figurative; e - pur nella divisione interna che l'ha a lungo caratterizzata - ha anche saputo opporsi al dominio persiano, con valore e con beffardo coraggio.
Al passo delle Termopili, nel480 a . C., contro lo sterminato esercito di Serse, alla minaccia che le frecce persiane avrebbero oscurato il cielo, un soldato risposte: "meglio, così combatteremo all'ombra"; e quando, ormai prossimi a essere sopraffatti a causa di un tradimento, al re spartano che guidava i Greci il nemico disse che era ormai il momento di cedere le armi, egli rispose "vieni a prenderle". Oltre all'ingegno, alla sottigliezza, all'inaffidabilità, è tipico del carattere greco l'indomito senso di indipendenza, anche contro ogni probabilità di successo.
La Grecia moderna - Stato indipendente dal 1832 - non è in diretta continuità con la Grecia classica, né con quella romana e bizantina; quattro secoli di dominazione turca hanno lasciato il segno. La Grecia, oggi,
Al passo delle Termopili, nel
La Grecia moderna - Stato indipendente dal 1832 - non è in diretta continuità con la Grecia classica, né con quella romana e bizantina; quattro secoli di dominazione turca hanno lasciato il segno. La Grecia, oggi,
dal punto di vista economico è una minuscola parte di quell'Europa di cui è madre (il suo Pil è meno del 3% di quello della Ue). Eppure, le vicende del potere economico contemporaneo hanno riproposto l'emozionante schema del Paese piccolo e povero impegnato in un ruolo storico più grande di lui, in lotta solitaria questa volta non contro l'impero persiano ma contro le draconiane condizioni (sacrifici e riforme) imposte dalla troika (Fmi, Bce, Commissione Ue) in cambio degli aiuti per sostenere i conti pubblici greci (invero, colpevolmente disastrati).
Se da parte greca è scattato un 'riflesso Termopili', da parte europea (e tedesca) si è cercato, al contrario, di costruire un mito negativo, di individuare non un eroe ma un colpevole, responsabile, con i suoi vizi (dai quali i greci non sono immuni), dei mali dell'euro. La lunga drammatizzazione che si è chiusa domenica scorsa ha da una parte ottenuto i suoi frutti - la maggioranza dei greci ha votato a favore dell'euro (cosa di cui in fondo c'è da rallegrarsi), mentre una robustissima minoranza ha resistito alle pressioni - , ma dall'altra ha mostrato tutta la propria artificiosità. Dopo neppure due ore di euforia dei mercati, gli indicatori finanziari sono tutti tornati a segnare tempo di crisi, mostrando così che non nella Grecia ma nell'Europa sta la causa della debolezza della moneta unica, non nell'indisciplinato e orgoglioso piccolo Paese ma nell'incapacità dei grandi Paesi europei di dare vita a un'unione più intensa e profonda di quella attuale, che renda l'euro una moneta anche politica e non solo contabile.
Mentre la Grecia si è mostrata fin troppo ardimentosa - il rischio per lei c'è sia nel restare nell'euro sia nell'uscirne - l'Europa, invece, non ha il coraggio di fare nessun passo avanti verso una maggiore integrazione politica. Ora che il capro espiatorio greco non c'è più, l'alternativa è crearne un altro (la Spagna e l'Italia sembrano i candidati più probabili) oppure guardare in faccia la realtà, e colmare rapidamente il deficit di politica che è all'origine della crisi. Fino a ieri ci si è ricordati solo del debito della Grecia verso l'Europa, e non del debito dell'Europa verso la Grecia classica; da oggi, almeno, si cerchi di imitarla non tanto nella disunione quanto nella passione per la politica.
Se da parte greca è scattato un 'riflesso Termopili', da parte europea (e tedesca) si è cercato, al contrario, di costruire un mito negativo, di individuare non un eroe ma un colpevole, responsabile, con i suoi vizi (dai quali i greci non sono immuni), dei mali dell'euro. La lunga drammatizzazione che si è chiusa domenica scorsa ha da una parte ottenuto i suoi frutti - la maggioranza dei greci ha votato a favore dell'euro (cosa di cui in fondo c'è da rallegrarsi), mentre una robustissima minoranza ha resistito alle pressioni - , ma dall'altra ha mostrato tutta la propria artificiosità. Dopo neppure due ore di euforia dei mercati, gli indicatori finanziari sono tutti tornati a segnare tempo di crisi, mostrando così che non nella Grecia ma nell'Europa sta la causa della debolezza della moneta unica, non nell'indisciplinato e orgoglioso piccolo Paese ma nell'incapacità dei grandi Paesi europei di dare vita a un'unione più intensa e profonda di quella attuale, che renda l'euro una moneta anche politica e non solo contabile.
Mentre la Grecia si è mostrata fin troppo ardimentosa - il rischio per lei c'è sia nel restare nell'euro sia nell'uscirne - l'Europa, invece, non ha il coraggio di fare nessun passo avanti verso una maggiore integrazione politica. Ora che il capro espiatorio greco non c'è più, l'alternativa è crearne un altro (la Spagna e l'Italia sembrano i candidati più probabili) oppure guardare in faccia la realtà, e colmare rapidamente il deficit di politica che è all'origine della crisi. Fino a ieri ci si è ricordati solo del debito della Grecia verso l'Europa, e non del debito dell'Europa verso la Grecia classica; da oggi, almeno, si cerchi di imitarla non tanto nella disunione quanto nella passione per la politica.
Carlo Gallo – Repubblica – 19-6-12
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