Il Partito D’Azione Compie 70 Anni:
La Pietra d’Inciampo Che E’ Sempre Tra Noi
Nel giungo del 1942, fu fondato il ai grandi partiti di massa (Pci, Psi, Partito d’Azione. Non visse a lungo; si sciolse nell’ottobre 1947, dando vita a una diaspora che vide i suoi membri distribuirsi in tutti i partiti di sinistra, dai radicali ai comunisti. Eppure, nonostante una vicenda politica e organizzativa così breve, la “questione azionista” è stata sempre al centro di polemiche e dispute storiografiche, soprattutto nell’ultimo decennio del Novecento, quando nacque la Seconda Repubblica.
Nelle elezioni presidenziali del 1992, quando fu poi eletto Oscar Luigi Scalfaro, furono le autorevoli candidature di Norberto Bobbio e Leo Valiani a riaccendere l’interesse per quella lontana esperienza. Nel governo Ciampi, figuravano invece altri due ministri di estrazione azionista: Paolo Barile e Antonio Maccanico. Sembrò allora che la Prima Repubblica, proprio mentre stava affogando travolta dagli scandali di Tangentopoli, fosse tentata di recuperare una sua credibilità appellandosi alla lezione morale del Pd’A. Fu una vicenda paradossale. Dopo il 1947, il sistema politico italiano si era definito intorno ai grandi partiti di massa (Pci, Psi, Dc), compiacendosi del naufragio del Pd’A. deriso perché troppo elitario, troppo affollato di intellettuali moralisti. Togliatti ironizzava sulle pulci annidate nella criniera del cavallo, De Gasperi ne era infastidito per le intemperanze laiche. L’avversione dei grandi partiti fu una delle cause della sconfitta del Pd’A. Ma non fu solo quello. Gli anni della sua vita coincisero con la più grave crisi attraversata dall’Italia nei suoi 150 anni di storia unitaria.
La fine del fascismo e il passaggio dalla dittatura alla democrazia; una guerra distruttiva; le ferite di una guerra civile combattuta con la durezza. Il Pd’A , più degli altri, si rese interprete e testimone di quella crisi, caratterizzandosi essenzialmente come il Partito della Resistenza. Furono 35 mila i partigiani combattenti nelle formazioni di Giustizia e Libertà, il 20 per cento del totale (i comunisti erano il 50, con il restante 30 suddiviso tra autonomi, socialisti e cattolici).
L’esiguità delle dimensioni del Pd’A risultò evidente quando si trattò di diventare “partito delle tessere”, ma non certo nei venti
mesi, dal ‘43 al ’45, quando fu il “partito dei fucili”.
Di fatto, il Pd’A non riuscì a sopravvivere all’eccezionalità delle condizioni che ne avevano determinato la nascita. Pure, proprio per queste caratteristiche, ogni volta che si infittiscono le attenzioni (e le polemiche) su questa vicenda, è come si attivasse una sorta di sismografo pronto a registrare le fibrillazioni del nostro sistema. E’ stato così, nei primi anni 60, nel passaggio dal centrismo al centrosinistra; è stato così in quello dalla Prima alla Seconda Repubblica. Ogni volta una crisi, ogni volta una nuova fase politica. Questo è un altro di quei momenti.
Giovanni De Luna – Venerdì di Repubblica 01-06-12
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