Attenzione: è tornato il Vuoto Politico: E’ arrivato di nuovo, con fragore di tuono e fondali da ultimi giorni di Pompei. Prima è stato portato via Berlusconi e la sua fine ingloriosa ha dimostrato che senza di lui il Pdl è solo un coacervo di piccole velleità e i conti in sospeso. A ruota è seguito il vecchio Bossi, protagonista con il suo clan della più normale e squallida storia padana; anche qui, senza corpo del Capo, il partito è ben poca cosa.
Gianfranco Fini, il terzo protagonista della coalizione di centrodestra che diede origine alla Seconda Repubblica, si era da tempo distaccato dalla compagnia, ma non è riuscito ad emergere con uomini, soldi o programmi. Risultato?
A diciotto anni dallo shock elettorale che consegnò l’Italia alla destra, la destra stessa è dissolta. Nel 2008 la stravagante coalizione Bossi-Berlusconi-Fini-Storace-Raffaele Lombardo totalizzò il 46,8 per cento dei voti, percentuale mai toccata prima nella storia d’Italia.
Oggi non solo è fuori dal governo, ma ha perso le città di Milano, Napoli, Palermo. I sondaggi – quelli gentili – dicono che, a pochi mesi dalla campagna elettorale, almeno metà dell’elettorato è andato perduto, qualcosa come otto - nove milioni di voti.
Improvvisamente non più protetto, l’elettorato della destra piange per la recessione, maledice l’Imu, i raid fiscali, Equitalia, mentre l’ex prospero Nordest vira al suicidio e la Sicilia riscopre i forconi.
Situazione brutta, dicono gli analisti. Il vuoto fa paura, non si può rimanere vuoti troppo a lungo. Prima, perché un Paese ha bisogno di una destra e possibilmente di una cosa seria, non mafiosa e non eversiva. Seconda, perché in assenza di un partito responsabile, l’elettorato può cadere facilmente nelle mani del primo populista di passaggio. Adesso è il comico Beppe Grillo, cui alcuni pronosticano un successo strepitoso. Ce lo stanno vendendo come un prodotto nuovo, ma a ben guardare Grillo non è che la continuazione, appena leggermente più grottesca, di quella che era la nostra destra, oggi travolta, quando si presentò sulla scena nel lontano 1994.
Per capire l’oggi,
è interessante tornare a quell’anno, così lontano e così vicino. L’Italia era allora un Paese ricco, settima potenza industriale del mondo che ambiva a diventare la sesta, con una classe politica che sembrava eterna (le grandiose architetture del “pentapartito”, del “consociativismo” e dei “governi balneari”), una liretta che si poteva manovrare, pochi immigrati, grosse fabbriche, una mafia tenuta sapientemente a bada dal divo Giulio. Ma, nel giro di soli venti mesi, tutto era crollato, letteralmente.
A Milano Mani Pulite aveva cancellato dalla mappa Dc, Psi, Pri, Pli, Psdi, ovvero i partiti per cui votava il 50 per cento degli italiani.
A Palermo, Cosa Nostra aveva fatto saltare un’autostrada per far sapere che cercava nuove alleanze.
Allora come adesso, la destra era senza rappresentanza, le elezioni erano alle porte e il Pds (l’erede del Pci, orfano allegrotto dell’Urss nel frattempo crollata) si apprestava a coronare il suo sogno: governare l’Italia con un sano riformismo fatto di coop, un po’ di Cgil (ma light), una faraonica Rai pluralista, l’egemonia culturale gramsciana sotto specie di sconfinati budget concessi agli assessorati alla cultura.
Diciamo che il Pds aveva una visione rosea del Paese. Ma l’Italia, essendo fatta anche di sangue e merda, capannoni costruiti con il sudore della fronte e qualche porcheria, essendo anche popolata da baciapile, evasori fiscali, nostalgici del duce, ultra del calcio, telespettatrici disperate, operai presi per i fondelli, killer della camorra, sfaccendati, individualisti, bamboccioni, fannulloni, furbacchioni e intellettuali, carogne, votò per la coalizione Bossi, Berlusconi, Fini, che prese il potere tra:
1)sventolio di cappi leghisti a Montecitorio e monetine a Bettino; 2) “Mussolini più grande statista del secolo”, copyright Fini; 3) Irene Pivetti presidente della Camera con la croce della Vandea ( “Ho ricevuto il potere da Dio”);
4)il ministro della Giustizia proposto (e poi bloccato da Scalfaro) all’avvocato Cesare Previti con un articolato progetto di amnistia per la mafia; 5) e, buon ultimo l’Unto del Signore che aveva il sorriso a 5° denti di Juan Domingo Peron e, a fianco, il capo mandamento della famiglia di Porta Nuova.
Silvio era il più gramsciano di tutti, con fame di vittoria perché, se non vinceva, c’era qualche pm comunista che lo metteva in galera, o qualche picciotto che lo faceva fuori.
Però tutti, in Italia, erano contenti perché il comunismo non era passato e andava a governare una classe dirigente nuova, moderna, giovane, liberale (?) ed espressione della società civile. Adesso abbiamo scoperto quanta paura faccia l’antipolitica, ma l’antipolitica cominciò allora.
Le elezioni del 1994 furono vinte promettendo “il miracolo”, ma soprattutto contro i “politici di professione” e, naturalmente, i “comunisti”. A seguito di quella esperienza, diventò per tutti imprescindibile, per vincere, avere le seguenti caratteristiche: un leader “che ci mette la faccia”, una fortissima liquidità per comprare gli alleati e permettere loro di arricchirsi, il controllo sulla tv, la sicurezza del voto sciliano (le elezioni, alla fin fine si vincono sempre lì), l’appoggio vaticano. Quanto ai temi: Funziona sempre agitare la paura degli immigrati, promettere mano leggera del fisco, condoni e sanatorie, tagliare l’Ici e garantire impunità per gli abusi edilizi, scagliarsi continuamente contro la “casta” e i giudici, difendere la famiglia da gay, aborto, unioni di fatto, fecondazione assistita.
Tutto questo ha preso il nome orribile di pancia degli italiani. Funzionerà ancora?
Dall’epoca dell’esplosione della destra in Italia, molte cose sono cambiate. Siamo in recessione, la tv conta meno e i social network di più, siamo parte di un’Europa matrigna, odiamo le banche, tutte unite in un unico complotto contro di noi. Siamo invecchiati, abbiamo sempre più paura che venga dato il voto agli immigrati, non vogliamo i sacrifici, vogliamo esodare (se gli esodati fanno un partito, beccano due milioni di voti sicuri), i ragazzi non trovano lavoro…e Berlusconi e Bossi se se sono andati.
Titani così – uno col parrucchino, l’altro con la cannottiera, uno con Ruby l’altro con il Trota – la destra italiana non ne trova più (mica gli vuoi dare la Santanchè, vero?) e il vuoto politico si spalanca sotto la pancia degli italiani come lo sbadiglio nero del Grand Canyon in una notte senza luna.
Al lavoro, dunque, perché mancano pochi mesi e Beppe Grillo è dato al venti per cento. Il panorama è desolante. Alfano non lo votano neanche nella sua città natale, Agrigento. Formigoni è meglio lasciarlo stare. Se ti fa una carezza il Papa, c’è da fare attenzione. Casini? Nun gliela fa, ha perso la voglia. Neanche Montezemolo, te lo dico io: nun gliela fa, non c’ha una lira, la Ferrari che non vince, c’ha il think tank, ma non sa che vuole e poi questi poteri forti non scuciono. E se si presentasse uno che dice che bisogna uscire dall’euro, stampare moneta, puntare sul made in Italy, non pagare il debito, fare per conto nostro; se si presenta uno così, quanti voti prende? Un Berlusconi più giovane, l’avrebbe fatto. Ma adesso, anche lui si è fatto vecchio….
Pure Marcello dell’Utri si è fatto vecchio, aspetta solo che lo prescrivano, mica c’ha più la forza di organizzare un partito.
Eccolo, dunque, il vuoto politico che avanza e proietta le sue lunghe ombre, aspettando la scadenza del governo Monti. Si orientano a tentoni il Bobo Maroni, il Matteo Renzi, il Fabrizio Cicchitto, il caro vecchio Antonio Di Pietro.
E dire che una volta avevano grandi statisti, i Gianni Letta, i Camillo Ruini, i Giuliano Ferrara, i Pinuccio Tatarella...Attenzione, destra. Ultimo avviso. Altrimenti questa volta succede che sale davvero Bersani.
Enrico Deaglio – Venerdì di Repubblica 22 – 6-12