Etichette

giovedì 1 novembre 2018

Lo Sapevate Che: La Libertà di dirsi fragili senza danni collaterali...


Periodicamente mio marito mi lascia. Lo fa ogni volta in un modo diverso ma sempre con il glaciale distacco dell’inevitabilità. “Non ti amo più”, dice serafico. E mi guarda distratto, mentre già pensa ad altro. Ed è dal suo sguardo, ancor più dalle sue parole, che capisco che finirà sul serio. Lo fa sempre di notte, quando nessuno ci può vedere o sentire. Mi coglie sempre alla sprovvista nell’ora più piccola e fragile. Io non mi abituo mai. E resto lì, incredula e atterrita. Lo guardo andare. Non lo trattengo perché so che è inutile. Mi rimpicciolisco piano piano, divento pallina, grumo, lacrima. In alcuni casi mi consolo subito e mi metto alla ricerca di un uomo che possa degnamente sostituire l’apparentemente insostituibile economista marxista barese. In altri cado n un pozzo di disperazione da cui tempo che non mi riprenderò più. In sogno, mio marito mi ha lasciata almeno cento volte. Quando mi sveglio mi ritrovo annichilita e furiosa. “Perché mi fai soffrire così?”, inveisco contro di lui che si ritiene innocente. È la paura che tira questi scherzi, credo. E l’insicurezza. Lui lo sa e non ne ha mai approfittato. Io lo so e le tengo a bada, almeno di giorno. In effetti io ho paura di moltissime cose: di ammalarmi, di restare sola, di intristirmi, di perdere la leggerezza e di prendere peso, in molti sensi. Ho paura che i miei figli vadano a vivere in Australia, o su Marte. Ho paura che soffrano. Ho paura di soffrire. Ho paura dei vortici nella vasca da bagno. Ho paura del silenzio e della noia, delle giornate fredde di pioggia. Ho para di non essere amata. Ho paura di non essere abbastanza. Ma non ho paura di dirlo, forse anche grazie, per una volta, a uno stereotipo di genere. Perché da noi – bambine, ragazze, signore, donne. nessuno aspetta l’invulnerabilità. Possiamo dirci fragili senza subire danni collaterali di immagine o di sostanza. Possiamo essere limpide con noi stessi e con gli altri, mostrando i nostri pieni ma anche i nostri vuoti. E questo altro non è che la libertà di essere no stesse, un privilegio, un’arma, una bella responsabilità. Sono cresciuta con un’amica che è stata una sorella. Abitava al terzo piano e, per anni, abbiamo passato i nostri pomeriggi a raccontarci i nostri brutti sogni, le nostre fragilità, le nostre numerose crepe. A nostra forza di oggi viene anche da quell’esserci mostrate impudiche le macchie di allora. A indossare corazze si impara da piccoli e si insegna soprattutto ai giovani uomini, condannati da modelli retrogradi ma radicati, a esibire la maschera ottusa e sorridente del cavaliere coriaceo e invincibile. Detesto il cinismo, la spavalderia, la sbruffonaggine. Del prossimo mi incantano le incongruenze, le sbavature, le cicatrici e le ferite. Siamo le nostre sconfitte ben più che le nostre vittorie. Siamo le nostre rughe di espressione, d’inquietudine che ci appanna lo sguardo, gli occhi lucidi, i brutti sogni. Il fiato corto. Siamo le nostre luci ma soprattutto le nostre ombre. Nasconderle è un’ipocrisia che non ci rende giustizia, è un torto che ci infliggiamo. M sono toccati in sorte tre figli maschi, un genere forse socialmente privilegiato ma emotivamente negletto e vessato da un perverso concetto del dover essere. Li vorrei comodi nei loro panni, lustri o sgualciti, non diversi dai nostri. Li vorrei liberi di dichiararsi pavidi. Vorrei per loro il coraggio di alzare bandiera bianca, di dire “no, grazie, ho paura”, di versare qualche lacrima se necessario. Li vorrei orgogliosi di essere se sessi.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 27 ottobre 2018 - 

Nessun commento:

Posta un commento