Di che colore erano i gatti nell’antico Egitto? Non lo
sappiamo, e non sappiamo nemmeno come fossero fatti i cani, anche se di sicuro
alcuni erano molto grossi. Ma altre cose possono emergere pra da un grande
studio su tutte le mummie animali, oltre 120, della collezione del Museo Egizio
di Torino. Perché, oltre agli umani, gli egizi mummificavano gatti, cani,
arieti, coccodrilli, tori, babbuini. E anche elefanti, sciacalli, cavalli,
ibis, falchi, serpenti, gazzelle, leoni, asini, ibis e persino minuscoli scarabei,
topiragno e lucertole. La ricerca del Museo Egizio si svolge in un laboratorio
aperto al pubblico dove opera Cinzia Oliva, restauratrice di tessili antichi.
Immaginate i visitatori nella sala con tavoli e radiografie dove una signora
lavora a ripulire la mummia di quello che in vita era chiaramente un gatto,
“Tutti arrivano in laboratorio pensando di trovare animali domestici, e non
sono felici di scoprire che non è così”, sorride Oliva. “Nella gran parte dei
casi, queste mummie egizie sono ex voto: gli animali venivano allevati apposta
nei templi, uccisi, imbalsamati e bendati. I pellegrini poi li compravano per
donarli alle divinità. I babbuini per esempio sono senza denti; glieli
toglievano da piccoli. I gatti hanno le vertebre cervicali spezzate”. Triste
risveglio dai sentimentalismi: “Talvolta le mummie, per esempio di cani, sono
state ritrovate davvero nelle tombe dei proprietari”, che evidentemente non
volevano separarsi dai propri animali neppure nell’aldilà. Ma sono appunto,
molti di più gli ex voto, seppelliti nei templi. Questi erano così numerosi
che, ritrovati, furono usati addirittura come fertilizzante in Europa o
bruciati per far andare le navi a vapore: ci sono testimonianze di un carico di
mummie di diciannove tonnellate spedite in Inghilterra a fine XIX secolo, parte
del quale venne usato appunto come combustibile. Sono stati trovati milioni di
ibis ad Abydos, ibis e babbuini a Tuna El-Gebel, coccodrilli a Kom Ombo,
necropoli di gatti a Saqqara e a Bubasts, città del Basso Egitto sacra a
Bastet. È probabile che i gatti offerti come ex voto alla dea dalla testa
felina avessero avuto vita assai breve: l’etica dell’uomo nel rapporto con il
mondo animale è contraddittoria oggi come ieri. Però, di sicuro, i gatti anche
nelle mummie conservavano la loro eleganza: imbalsamati con le zampe raccolte e
la coda che passa fra le zampe posteriori, risale lungo l’addome e si inanella
attorno al collo. Cinzia Oliva alle mummie è arrivata per caso. “All’Egizio di
Torino avevo già restaurato una parte dei tessuti copti, quando mi chiesero di
occuparmi delle mummie umane della tomba di Ka, appunto, e di sua moglie Merit.
P mi chiamarono ai Musei Vaticani per una loro mummia, e da lì ho continuato”.
Oggi, il restauro e la diagnostica sull’intera collezione animale dell’Egizio
sono finalizzati alla pubblicazione di un catalogo ragionato, un progetto unico
al mondo, che oltre a Oliva coinvolge la ditta di diagnostica TecnArt e il
Cnsorzo Croma per i supporti meccanici, sotto la direzione di Salima Ikram, egittologa
pachistana decana delle indagini sulle mummie animali. Lavorare su questi
reperti diventa, grazie alla tecnologia, sempre più affascinante. In altri
tempi, i sarcofagi venivano aperti e le mummie sbendate per esaminarle. Ora ci
sono strumenti diagnostici grazie ai quali non c’è più bisogno di violare i
sarcofagi, umani o animali che siano. Le mummie dell’Egizio sono troppo
delicate per il trasporto. Così i macchinari per le Tac sono stati noleggiati e
portati al museo. Pulire, investigare le differenze. Il lavoro di restauro di
Oliva comincia con il campionamento di tessuti, coloranti e mordenti: i
campioni servono anche per l’operazione essenziale della datazione al carbonio
14. “Per lo più non sappiamo neppure da dove vengano le mummie. Quando abbiamo
fortuna, appartengono a siti archeologici, ma più spessi arrivano dal mercato
antiquario, comprate in Egitto e donate ai musei nel corso dell’Ottocento. Con
una datazione più precisa, incrociando i dati, speriamo di riuscire anche a
dare loro una localizzazione. È Dopo il campionamento si fa l’analisi dei
materiali di imbalsamazione e dei tessuti: “Il mio sogno dice Oliva “è trovare
una mummia con bende di cotone, perché sarebbe una novità assoluta, fin qui
sono tutte con le bende di lino”. Poi ci sono la ricostruzione grafica e
virtuale dei moduli decorativi. Quindi si passa alla pulitura per aspirazione o
per abrasione con gomme vulcaniche che porta via lo sporco superficiale. In
caso di bende deformate, c’è anche la rimessa in forma con un vaporizzatore
freddo a ultrasuoni. Seguono il consolidamento dei tessuti lacerati e, infine,
la costruzione di supporti tridimensionali per l’esposizione. Un vero zoo
museale. Gatti, cani e alcuni coccodrilli hanno bendaggi complicati, con
intrecci e bende di tre o quattro colori alternati. Gli ibis con il lungo becco
posato sulla schiena, a volte sono inseriti in coni di terracotta; poi ci sono
tanti coccodrilli in onore di Sobek, il dio coccodrillo del Nilo, a volte
imbalsamati con coccodrilli piccoli lungo i fianchi o in bocca o sul dorso,
come le madri trasportano i cuccioli”. L’animale più affascinante? “I tori! Le
mummie contengono soltanto una parte dell’animale, il teschio o le ossa, tenuti
insieme a volte con un bastone di legno ma hanno un aspetto esterno molto
accattivante, e una realizzazione molto complessa; sono riempite di terra e di
materiale organico fino a ricostruire a forma di un toro seduto, più piccolo
del normale. Veniva imbalsamato intero solo il toro sacro scelto dai sacerdoti
per rappresentare il dio Api, che era venerato e sepolto nel tempo con una
particolare liturgia. Non a caso la Mummia di uno dei tori dell’Egizio era fra
i simboli della riapertura del museo nel 2015, dopo i restauri. Da allora
l’istituzione torinese viaggia a oltre 800 mila visite l’ano. Il catalogo delle
mummie animali, dice il direttore dell’Egizio Christian Greco, è un progetto
importantissimo perché al centro c’è la ricerca, elemento da cui sgorgano tutte
le nostre altre attività, essenzialmente per la conservazione della
collezione”. E la ricerca, spiega “deve uscire dalla sua torre d’avorio per
essere comunicata a tutti: per questo aprire il laboratorio è fondamentale.
Bisogna trovare modalità per coinvolgere il pubblico in questa attività. Dal 2
giugno abbiamo aperto le sale della “cultura materiale” con un documentario di
sei minuti in cui parliamo del progetto animali. E a marzo aprire un progetto
espositivo, Archeologia dell’invisibile,
per rendere, al contrario, visibile tutta la ricerca che effettuiamo quotidianamente
sull’intera nostra collezione”. Le reazioni del pubblico? “I bambini sono i
meno impressionabili e hanno uno sguardo incredibilmente acuto” spiega Oliva.
“Io credo di essere pedagogica e dire la verità. Solo una volta ho mentito, ma
era una bimba davvero piccola, tre anni forse. Mentre restauravo un
coccodrillo, mi ha chiesto: “Ma lui si muove?” Il padre mi guardava
terrorizzato, temendo che stessi per dire che era un animale morto. Le ho detto
che dormiva durante il giorno per lasciarmi lavorare, e si svegliava la notte”.
E la domanda più buffa? “Mi hanno chiesto, diverse volte, se sono mummie vere.
E ahimè, lo chiedono gli adulti, non i bambini. Ma perché dovrei restaurare una
cosa falsa? Con quello che costano i restauri….
Alessandra Quattrocchi –Scienze – Il
Venerdì di La Repubblica – 2 novembre 2018 -
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