Jacob Ochtervelt (che nacque a
Rotterdam nel 1634 e morì ad Amsterdam nel 1682 non aveva nessuna intenzione di
dipingere una critica sociale: tantomeno un quadro satirico, o peggio
sarcastico. La carità era coltivata come una virtù religiosa e civile,
nell’Olanda protestante del Seicento, ed è questa la virtù che ritrae, il
nostro pittore. Due fierissimi genitori guardano il loro pupo, agghindato come
un idolo borghese e scortato dalla fidata governante, mentre elargisce un
soldino a un quasi coetaneo assai più sfortunato, che bussa alla porta di casa
tendendogli un lacero cappello. Eppure, qualcosa nelle viscere del buon Jacob
deve aver sentito una nota falsa, in questo edificantissimo aneddoto sociale e
familiare. Perché il quadro che ha dipinto mette i brividi. Non è carità,
questa: semmai beneficenza. Ricordo di aver letto da bambino una striscia della
saggia e dolce Mafalda di Quino che diceva più o meno così: “la beneficenza è
quella cosa per cui signore ricche ed elegantissime spendono molti soldi per
organizzare un banchetto con ostriche e foie gras in cui raccogliere qualche
soldo con cui comprare pane e acqua per i poveri” Ecco. La prospettiva dei
pavimenti tirati a lucido conduce alla coppia dei genitori, i committenti del
quadro. Non c’è un briciolo di calore umano nel loro sguardo, e il piccolo è
delegato alla servitù. Il bambino ricco (che guarda in camera come un politico
che va all’ospedale a trovare le vittime di una sciagura) è una bambola odiosa,
ed è spaventoso il contrasto tra l’enorme medaglione d’oro che pende dalla
catena che porta al collo e il minuscolo soldino d’argento che egli fa
scivolare nel cappello di un ragazzino che non ha nemmeno il coraggio di
guardare negli occhi. E poi c’è la madre povera, così vergognosa della sua
povertà da stare un passo indietro: lei sì che sembra una Carità, con quel
fantolino alle poppe, e altri tre da tenere al mondo. L’interno della casa dei
ricchi è dominato da una luce fredda, che nemmeno i grandi quadri di paesaggio
riescono a temperare: i poveri, invece, sono avvolti da una luce calda, accogliente,
gioiosa. E una cosa è chiara. Questi ricchi pietrificati nei loro costumi e nel
loro rigido perbenismo non stanno aiutando i poveri. È proprio il contrario: da
quella porta aperta è entrata la salvezza, la luce, il calore. È entrata la
loro unica occasione di diventare umani. Quella porta è la famosa cruna di un
ago: chissà se quel bambino ricco avrà la forza di attraversarla.
Tomaso Montanari -
Cultura – Il Venerdì di La Repubblica – 23 novembre 2018 -
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