Epicuro è un personaggio dell’epoca ellenica e cominciò a
diffondere la sua dottrina nell’Atene del 320 a.C. Una dottrina nell’Atene del
320 a.C. Una dottrina che subì nei secoli, anzi millenni, molti cambiamenti, ma
più di forma che di sostanza. E la sostanza è questa: religiosi o atei possono
rendersi felici in una prima ma molto breve fase, poi subiscono dolore, delusione,
rabbia e mutamento. La vita di ciascuno di noi tende a trasformarsi in u
inferno, a che siano le strade che prenderà: l’egoismo, sperando di mettere
l’animo in pace, oppure l’altruismo ma in tutte e due i casi ritornano ancora
tristezza, delusione e rabbia; la vita dell’uomo è quindi sprecata salvo che
l’obiettivo perseguito sia il Piacere. Un Piacere tranquillo, non furioso né
troppo intenso; un’umanità che ama essere considerata e convivere con tutti gli
altri dolcemente in modi appropriati e liberi nelle scelte confacenti. Questa
dottrina ha affrontato epoche di notevole diffusione ed altre di decadenza ma
ha comunque resistito e non è mai scomparsa. Si accompagna anche ad una sottile
malinconia, apparentemente dovuta al tempo che passa; ricorda in qualche modo
le eclissi di luna: anch’esse fanno parte del Piacere: la nostra vita è
complessa e il Piacere resiste a una lacrima di malinconia che è il meglio che
possiamo ottenere anche nella fase del trapasso. Lo ricorda anche Villon nel
suo Testamento, dove l’epicureismo era il sentimento dominante e con esso,
appunto, la malinconia. Chi lo spiegò tra i più sagaci fu un francese a metà
del Seicento. Saint Evremond, che scrisse: non vedo nulla di meglio di quella
dottrina. Che lui comunicò nelle sue linee fondamentali ad un’amica molto più
giovane di lui e abbastanza singolare: Mademoiselle Ninon de Lenclos, della
quale si è molto discusso nel suo tempo ma anche dopo e fino ad oggi. Questi
due personaggi sono assai differenti l’uno dall’altro ma connessi da un
sentimento di amicizia assai affettuosa e sono stati raccontati in modo molto
approfondito e brillante da Daria Galateria (Sellerio Editore) pubblicando le
lettere più significative scritte da Saint Evremond a Ninon e presentandole con
la sua descrizione del personaggio di Ninon. È un modo brillante che usa la
Galateria per approfondire la conoscenza dell’epicureismo in quell’epoca dove
si erano verificati molti contrasti ideologici, filosofici e anche politici che
Ninon a suo modo ha rappresentato. Era in contatto con tutti i personaggi della
corte, salvo il re. Molti degli altri suoi conoscenti altolocati avevano goduto
il piacere di rapporti intimi con lei; intimi e brevi che potevano tuttavia
ricominciare (sempre brevemente) e talvolta, se l’età lo avesse consentito, con
i loro figli molto giovani. Ninon dava sé stessa con il corpo e la mente; a suo
modo creava un tipo di piacere fisico e intellettuale. La Galateria infatti,
descrivendola, racconta anche – Epicuro a parte – l’atmosfera di quel periodo
dove i personaggi di maggior rilievo rispondono nientemeno ai nomi del
cardinale di Richelieu (con il quale Ninon ebbe anche rapporti sessuali), il
cardinale di Retz, la Fronda, i Condé, le dame di corte abbastanza numerose, il
cardinale Mazzarino, la regina Anna d’Austria e altri personaggi non meno
interessanti tra i quali si distingueva il principe di Marcillac che poi
diventò, alla morte di suo padre, il duca di La Rochefoucauld. Tra le poche
cose che indispettivano Ninon, il cui carattere era di natura molto cordiale,
c’era una delle massime di La Rochefoucauld: “Il male delle donne è la
vecchiaia”. Ninon ebbe una vita attiva e consapevole della realtà che la
circondava molto lunga. C’è un episodio che ne dà conferma: un alto magistrato
era molto innamorato di lei e voleva avere a tutti i costi avere un rapporto
amoroso. Quando questo corteggiamento si manifestò Ninon aveva 60 anni che per
lei erano poca cosa, anche fisicamente. Quel suo innamorato non esercitava su
di lei alcuna attrazione ma la cortesia la indusse a dargli un appuntamento: “Io
le concederò volentieri di passare una notte insieme il giorno in cui compirò
70 anni. Quel giorno se lei vuole si faccia vivo con me e staremo insieme,
dopodiché non avrò alcun rapporto amoroso con nessuno”. In realtà le cose andarono esattamente in
quel modo dieci anni dopo. L’uomo fu felice e lei da allora entrò in castità ma
continuò a vivere pienamente la sua vita sociale ed anche politica. Ebbe un contrasto assai vivace con la
Corte reale a proposito di Molière. Dopo due o tre esibizioni pregevoli nel
Palazzo Reale, Molière ne preannunciò una successiva che dal titolo prometteva
assai male (Tartufo). Il re se la fece spiegare e pose il veto impedendo a
Molière di varare i suoi lavori a corte. La Ninon fu informata di questa
situazione e naturalmente prese le parti di Molière che conosceva e stimava
moltissimo, radunò una quantità di nobili ai quali il divieto imposto del re
non era affatto piaciuto e che dimostrarono, con Ninon alla testa, la loro
protesta. Ne dettero dimostrazione più volte fino a quando il re accettò di
rivedere le sue decisioni e Molière fu ammesso di nuovo a varare i suoi lavori
a corte. Di Ninon si conoscono molte frasi e la Galateria ne riporta alcune
divertenti e significative l’ultima delle quali fu quando lei ormai moribonda
prima di chiudere gli occhi per sempre riuscì a dire: lascio solo dei morenti.
Questo fu quel secolo. Epicuro si sarebbe trovato a suo agio.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 4 novembre 2018 -
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