Quel Giorno Suo padre chiamò Maria Pia e le disse:
“Hai finito le medie con successo, potresti andare al liceo come faranno i tuoi
fratelli minori. Ma sei una ragazza, ti sposerai, non hai bisogno di fare
l’università. Intanto potresti andare al Magistero che forma le insegnanti, e
dura meno”. Il Magistero le piacque, in particolare Storia dell’arte e molti
anni dopo il diploma le sarebbe anche servito, per insegnare agli italiani di
Bruxelles. Non le sembrava strano che lei, primogenito di cinque figli, fosse
già destinata a un’istruzione di serie B rispetto ai maschi. Era il 1048, mia
madre compiva 14 anni. Abitava a Genova, città di salire ripide, il Magistero
era molto distante, ma l’idea di prendere un autobus pubblico non la sfiorava
neppure. Nella sua famiglia questo genere di lusso non era concepibile. Andava
e tornava a piedi, quaranta minuti di camminata. Ha un bel ricordo di quella
scuola anche perché era laica, fino alle medie aveva frequentato le scuole
delle suore. Sono ricordi “provocati” dal collega Aldo Cazzullo. Il suo
bellissimo libro sull’Italia del 1948 (Giuro che non avrò più fame), dopo
averlo finito l’ho regalato a mia mamma, e mi ha suggerito delle domande sulla
sua adolescenza, Maria Pia ha 84 anni, quindi appartiene alla generazione che
Cazzullo descrive: guai a lagnarsi, la cultura del piagnisteo non era stata
ancora inventata. Avere nostalgia del passato era escluso: il passato erano la
guerra e i razionamenti. La mamma all’inizio della guerra viveva a Napoli, dove
suo padre era andato a lavorare. Quando iniziarono i bombardamenti alleati e il
nonno vide morire un collega sotto i suoi occhi, andarono a vivere in Liguria
come sfollati. Non a Genova, anch’essa esposta alle distruzioni finché durava
il conflitto, ma nella casa di una zia a Ruta di Camogli senza riscaldamento,
gelida e umida d’inverno ma grande abbastanza, e con un orto per cercare di
alleviare le ristrettezze alimentari. Finite le bombe il trasloco avvenne in
una Genova dove alcuni quartieri erano cumuli di macerie (tante anche in Via
Assarotti, vicina alla loro nuova casa). Nacque il quarto fratello, a rendere
ancora più stringente l’austerity familiare. A scuola all’inizio i compagni
genovesi prendevano in giro l’accento napoletano che i piccoli Angelino avevano
acquisito nella prima infanzia. Mia madre però frugando nella memoria di quegli
anni ha soprattutto ricordi belli. La nonna Anna era il baricentro della vita
familiare, il punto di riferimento, una certezza, una roccia. Gestiva lei il
bilancio, per arrivare a fine mese guai a scialare. Quando i cinque Angelino
venivano invitati a casa di cugini, tutti li ricordano come i più magri e i più
affamati. La nonna Anna anch’io l’ho conosciuta bene e ricordo la sua etica
stoica. Maria Pia ancora si diverte a citare l’ultima frase che disse ai
familiari la sera prima di morire (nel sonno di infarto). Dando la buonanotte
non sembrava in gran forma, ma quando le chiesero come stava diede l’unica
risposta che conosceva: “Benissimo”. Nelle ristrettezze c’era tanta
solidarietà. La famiglia dei vicini il pianerottolo sperava di mandare il
figlio all’università; lui si dava da fare con dei lavori serali come fattorino
di un commerciante, pagato solo con le mance. Nonna Anna pregava in Chiesa
perché le mance arrivassero abbondanti, consentendogli il suo sogno: studiare.
Sono scampoli di memoria che mia madre ha sempre custodito con pudore, anche
troppo. Avremmo dovuto ascoltare di più quelle cronache di un’Italia povera e
determinata, dignitosa e infaticabile. Invece la mia generazione è cresciuta in
un’epoca in cui già dominava il giovanilismo, i “modelli” esaltati dalla
cultura pop erano (e sono) dei ragazzini. Ne stiamo pagando il prezzo, temo.
Federico Rampini - Donna di La Repubblica - 10 novembre 2018 -
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