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mercoledì 21 novembre 2018

Lo Sapevate Che: L'Errore di ascoltare poco una generazione...


Quel Giorno Suo padre chiamò Maria Pia e le disse: “Hai finito le medie con successo, potresti andare al liceo come faranno i tuoi fratelli minori. Ma sei una ragazza, ti sposerai, non hai bisogno di fare l’università. Intanto potresti andare al Magistero che forma le insegnanti, e dura meno”. Il Magistero le piacque, in particolare Storia dell’arte e molti anni dopo il diploma le sarebbe anche servito, per insegnare agli italiani di Bruxelles. Non le sembrava strano che lei, primogenito di cinque figli, fosse già destinata a un’istruzione di serie B rispetto ai maschi. Era il 1048, mia madre compiva 14 anni. Abitava a Genova, città di salire ripide, il Magistero era molto distante, ma l’idea di prendere un autobus pubblico non la sfiorava neppure. Nella sua famiglia questo genere di lusso non era concepibile. Andava e tornava a piedi, quaranta minuti di camminata. Ha un bel ricordo di quella scuola anche perché era laica, fino alle medie aveva frequentato le scuole delle suore. Sono ricordi “provocati” dal collega Aldo Cazzullo. Il suo bellissimo libro sull’Italia del 1948 (Giuro che non avrò più fame), dopo averlo finito l’ho regalato a mia mamma, e mi ha suggerito delle domande sulla sua adolescenza, Maria Pia ha 84 anni, quindi appartiene alla generazione che Cazzullo descrive: guai a lagnarsi, la cultura del piagnisteo non era stata ancora inventata. Avere nostalgia del passato era escluso: il passato erano la guerra e i razionamenti. La mamma all’inizio della guerra viveva a Napoli, dove suo padre era andato a lavorare. Quando iniziarono i bombardamenti alleati e il nonno vide morire un collega sotto i suoi occhi, andarono a vivere in Liguria come sfollati. Non a Genova, anch’essa esposta alle distruzioni finché durava il conflitto, ma nella casa di una zia a Ruta di Camogli senza riscaldamento, gelida e umida d’inverno ma grande abbastanza, e con un orto per cercare di alleviare le ristrettezze alimentari. Finite le bombe il trasloco avvenne in una Genova dove alcuni quartieri erano cumuli di macerie (tante anche in Via Assarotti, vicina alla loro nuova casa). Nacque il quarto fratello, a rendere ancora più stringente l’austerity familiare. A scuola all’inizio i compagni genovesi prendevano in giro l’accento napoletano che i piccoli Angelino avevano acquisito nella prima infanzia. Mia madre però frugando nella memoria di quegli anni ha soprattutto ricordi belli. La nonna Anna era il baricentro della vita familiare, il punto di riferimento, una certezza, una roccia. Gestiva lei il bilancio, per arrivare a fine mese guai a scialare. Quando i cinque Angelino venivano invitati a casa di cugini, tutti li ricordano come i più magri e i più affamati. La nonna Anna anch’io l’ho conosciuta bene e ricordo la sua etica stoica. Maria Pia ancora si diverte a citare l’ultima frase che disse ai familiari la sera prima di morire (nel sonno di infarto). Dando la buonanotte non sembrava in gran forma, ma quando le chiesero come stava diede l’unica risposta che conosceva: “Benissimo”. Nelle ristrettezze c’era tanta solidarietà. La famiglia dei vicini il pianerottolo sperava di mandare il figlio all’università; lui si dava da fare con dei lavori serali come fattorino di un commerciante, pagato solo con le mance. Nonna Anna pregava in Chiesa perché le mance arrivassero abbondanti, consentendogli il suo sogno: studiare. Sono scampoli di memoria che mia madre ha sempre custodito con pudore, anche troppo. Avremmo dovuto ascoltare di più quelle cronache di un’Italia povera e determinata, dignitosa e infaticabile. Invece la mia generazione è cresciuta in un’epoca in cui già dominava il giovanilismo, i “modelli” esaltati dalla cultura pop erano (e sono) dei ragazzini. Ne stiamo pagando il prezzo, temo.
Federico Rampini - Donna di La Repubblica - 10 novembre 2018 -

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