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venerdì 9 novembre 2018

Lo Sapevate che: Domani esco con mezzo ombrello...


Fa Caldo in Alaska dunque preparare gli spazzaneve a New York. Un blob -  come lo chiamano meteorologi – un’enorme massa di acqua più calda del solito si è formata nel Golfo dell’Alaska e quando questo avviene, nel gioco misterioso e superbo dell’atmosfera, l’aria fredda lo aggira, si precipita verso il lato opposto del continente americano, rovescia metri e metri di neve sulla costa dell’Atlantico. E quando le tempeste si abbattono sull’Est dell’America spesso, seguendo l’Autostrada tracciata in cielo dalle correnti di alta quota, raggiungono l’Europa, come se avessimo bisogno, in Europa, di altre bufere. Come tutti gli anni, anche questo autunno porta, con l’incubo delle prime pubblicità natalizie e i primi, angoscianti tintinnii di Jingle Bells, l’eterno interrogativo sul “tempo che farà”, se l’inverno alle porte sarà mite o feroce e quanti metri cubi di neve dovremo spalare. La risposta è che non lo sa nessuno. Non gli almanacchi del contadino, non le previsioni dei frati. Indovini e neppure la comunità della meteorologica che resta una scienza dell’approssimazione e non della certezza. Anche oggi che i modelli del tempo sono elaborati da supercomputer capaci di migliaia di miliardi di operazioni al secondo come il Cray, utilizzato dal servizio meteorologico di Sua Maestà britannica, le previsioni sono attendibili per tre o quattro giorni al massimo. Se volete sapere se avremo un Bianco Natale 2018, Frate Indovino o il Barbanera ne sanno quanto il Noaa, il centro nazionale americano per lo studio dell’atmosfera e degli oceani. Non è piacevole trovarsi inzuppati di pioggia su una spiaggia tropicale o a guardare prati senza un dito di neve naturale con gli sci ai piedi per la settimana bianca dopo aver creduto alle previsioni del tempo. Ma non è neppure vero che “non ci prendono mai”, come diceva scuotendo la testa mia madre anziana quando apparivano colonnelli dell’Aereonautica e i Tg Rai. Ci prendono spesso, magari nascondendosi, come hanno fatto nei tg americani, dietro buffe percentuali. Annunciano che domani c’è il 50 per cento di probabilità di pioggia (esco di casa con mezzo ombrello?) ma nessun supercomputer è in grado di capire esattamente quale refolo di vento, quale battito di ali, quale bolla di calore o di freddo avrà conseguenze catastrofiche a migliaia di chilometri di distanza. Gli uragani che si rovesciano sulla costa americana nascono in gran parte n Africa occidentale e può bastare la corsa di una bambina sulla spiaggia per inseguire una farfalla per generare quel turbine di sabbia e aria che crescerà fino a generare un ciclone. Rimane vero quello che un antico e volgare proverbio veneto insegna, e mi scuso con le signorine di buona famiglia, che “Il tempo, il cul e i siori, i fal quel che i vol lori”. Saremo mai capaci di sapere in anticipo che tempo farà? No, perché ci sono nell’atmosfera del nostro pianeta molecole per 2X10 alla 44esima potenza, e il numero di zeri non starebbe in questa pagina, ciascuna delle quali si agita e sgomita per muoversi. Siamo infinitamente più bravi dell’ufficiale della Royal Navy inglese, Robert FitzRoy, che per primo osò pubblicare sul Times nel 1861 una previsione del tempo, naturalmente sbagliandola, perché Londra è famosa per passare dalla pioggia al sole ogni quarto d’ora. Siamo, stranamente molto più appassionati alle rabbie atmosferiche, nel nostro mondo artificiale, eccitati da televisioni che trovano in uragani, bombe d’acqua e nevoni comode e impressionanti sequenze. Ma il tempo che farà resta un’incognita ed è bello che sia così, sapere che una bambina in Africa o una farfalla in Amazzonia possano ingannare un supercomputer. E se poi pioverà, sarà comunque sempre colpa del governo ladro.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica - 3 novembre 2018 -

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