Fa Caldo in Alaska
dunque preparare gli spazzaneve a New York. Un blob - come lo chiamano meteorologi – un’enorme
massa di acqua più calda del solito si è formata nel Golfo dell’Alaska e quando
questo avviene, nel gioco misterioso e superbo dell’atmosfera, l’aria fredda lo
aggira, si precipita verso il lato opposto del continente americano, rovescia
metri e metri di neve sulla costa dell’Atlantico. E quando le tempeste si
abbattono sull’Est dell’America spesso, seguendo l’Autostrada tracciata in
cielo dalle correnti di alta quota, raggiungono l’Europa, come se avessimo
bisogno, in Europa, di altre bufere. Come tutti gli anni, anche questo autunno
porta, con l’incubo delle prime pubblicità natalizie e i primi, angoscianti
tintinnii di Jingle Bells, l’eterno
interrogativo sul “tempo che farà”, se l’inverno alle porte sarà mite o feroce
e quanti metri cubi di neve dovremo spalare. La risposta è che non lo sa
nessuno. Non gli almanacchi del contadino, non le previsioni dei frati.
Indovini e neppure la comunità della meteorologica che resta una scienza
dell’approssimazione e non della certezza. Anche oggi che i modelli del tempo
sono elaborati da supercomputer capaci di migliaia di miliardi di operazioni al
secondo come il Cray, utilizzato dal servizio meteorologico di Sua Maestà
britannica, le previsioni sono attendibili per tre o quattro giorni al massimo.
Se volete sapere se avremo un Bianco Natale 2018, Frate Indovino o il Barbanera
ne sanno quanto il Noaa, il centro nazionale americano per lo studio
dell’atmosfera e degli oceani. Non è piacevole trovarsi inzuppati di pioggia su
una spiaggia tropicale o a guardare prati senza un dito di neve naturale con
gli sci ai piedi per la settimana bianca dopo aver creduto alle previsioni del
tempo. Ma non è neppure vero che “non ci prendono mai”, come diceva scuotendo
la testa mia madre anziana quando apparivano colonnelli dell’Aereonautica e i
Tg Rai. Ci prendono spesso, magari nascondendosi, come hanno fatto nei tg
americani, dietro buffe percentuali. Annunciano che domani c’è il 50 per cento
di probabilità di pioggia (esco di casa con mezzo ombrello?) ma nessun
supercomputer è in grado di capire esattamente quale refolo di vento, quale
battito di ali, quale bolla di calore o di freddo avrà conseguenze
catastrofiche a migliaia di chilometri di distanza. Gli uragani che si
rovesciano sulla costa americana nascono in gran parte n Africa occidentale e
può bastare la corsa di una bambina sulla spiaggia per inseguire una farfalla
per generare quel turbine di sabbia e aria che crescerà fino a generare un
ciclone. Rimane vero quello che un antico e volgare proverbio veneto insegna, e
mi scuso con le signorine di buona famiglia, che “Il tempo, il cul e i siori, i fal quel che i vol lori”. Saremo mai
capaci di sapere in anticipo che tempo farà? No, perché ci sono nell’atmosfera
del nostro pianeta molecole per 2X10 alla 44esima potenza, e il numero
di zeri non starebbe in questa pagina, ciascuna delle quali si agita e sgomita
per muoversi. Siamo infinitamente più bravi dell’ufficiale della Royal Navy
inglese, Robert FitzRoy, che per primo osò pubblicare sul Times nel 1861 una
previsione del tempo, naturalmente sbagliandola, perché Londra è famosa per
passare dalla pioggia al sole ogni quarto d’ora. Siamo, stranamente molto più
appassionati alle rabbie atmosferiche, nel nostro mondo artificiale, eccitati
da televisioni che trovano in uragani, bombe d’acqua e nevoni comode e
impressionanti sequenze. Ma il tempo che farà resta un’incognita ed è bello che
sia così, sapere che una bambina in Africa o una farfalla in Amazzonia possano
ingannare un supercomputer. E se poi pioverà, sarà comunque sempre colpa del
governo ladro.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna
di La Repubblica - 3 novembre 2018 -
Nessun commento:
Posta un commento