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sabato 3 novembre 2018

Lo Sapevate Che: Che ci fanno i genitori a scuola?...


 Cosa Ne Pensa delle chat di classe dei genitori? Quando mio figlio ha iniziato la prima elementare mi sono trovata, mio malgrado, iscritta al gruppo WhatsApp dei genitori. In quelle chat la rappresentante dei genitori ci invia le informazioni scolastiche e i genitori i loro commenti. I toni sono garbati e nessuna discussione spiacevole si è mai creata, ma nonostante ciò dopo qualche mese ho deciso di abbandonare il gruppo perché i messaggi inviati sono del tutto inutili. Per esempio: si discute se un esercizio sia da fare o meno, su come svolgere alcuni esercizi, vengono inviate foto delle pagine dei libri, si commenta l’eccessivo carico di compiti. Eccetera. Su invito della rappresentante a rientrare in chat, io le ho chiesto che la chat sia usata esclusivamente da lei per comunicazioni, ma lei sostiene che non si può vietare a chi vuole di intervenire.   Francesca Sianesi  francesca.sianesi@polimi.it

Conosco Questa Brutta usanza che fa aderire, soprattutto le madri, a quel tipo di comunicazione tipica dei loro figli, per commentare quanto ai loro figli capita a scuola. Mi domando: ma queste mamme non hanno niente da fare? Non hanno un lavoro che le impegni? Si interessano di politica? Stanno loro a cuore i problemi della nostra società? Leggono qualche libro? Frequentano qualche evento culturale? Pensano alla loro vita o si dedicano ossessivamente alla vita dei loro pargoli, con la loro incombente protezione che ne rallenta la crescita? Quando i bambini vanno a scuola devono incominciare un’esperienza in cui apprendono che nella vita non si è sempre protetti, e meno protezione si ha più ci si deve dar da fare per proteggersi e rassicurarsi da sé. È un passaggio fondamentale che inizia a piccoli passi nella scuola primaria e deve diventare definitivo in quella secondaria, quando i genitori devono sparire definitivamente dalla scuola e lasciare che i loro ragazzi imparino a cavarsela da sé. Questo passaggio si chiama “rito d’iniziazione” che le antiche civiltà regolarmente per autonomizzare i giovani, allontanandoli da quelle cure parentali che rallentano quando addirittura non bloccano la crescita. Fu Franco Maria Malfatti, Ministero della Pubblica Istruzione, a introdurre, con i Decreti Delegati del 1973, i genitori nelle scuole. Mai cosa fu più deleteria, perché i genitori, in generale, non sono interessati alla formazione dei loro figli, ma alla loro promozione. In pratica fanno i sindacalisti dei figli, difesi con arroganza e talvolta anche con gesti aggressivi nei confronti degli insegnanti, quando non addirittura con ricorsi al Tar per ottenere per via giudiziaria quel che non hanno ottenuto per effetto dello scarso impegno nello studio dei loro fili. La conseguenza è che gli insegnanti, per non passare i mesi estivi in tribunale, anche su sollecitazione di dirigenti scolastici che amano il quieto vivere tendono a promuovere tutti, con tanti saluti alla meritocrazia e al senso di giustizia che esigerebbe una diversa valutazione per chi ha studiato e per chi non ha studiato. Mi paiono concetti semplici. Di fatto sono del tutto ignorati. Ma torniamo alla scuola elementare quando genitori, attraverso le chat, o addirittura in presenza dei loro bambini, parlano male della maestra (sport molto diffuso), procurando al loro bambino un danno non trascurabile perché, quando va a scuola il bambino orienta la sua affettività che prima era rivolta solo ai genitori, anche verso la maestra. A questo punto se i genitori parlano male della maestra creano una contraddizione nell’orientamento affettivo del bambino, che è molto più difficile da riparare di quando la contraddizione investe l’ordine razionale. A quel punto il bambino non sa più di chi fidarsi. E quando nell’adolescenza si manifestano i danni subiti nell’infanzia, i genitori non si devono meravigliare che i loro figli non abbiano più fiducia in nessuno, perché il danno l’hanno procurato loro. Delle maestre bisogna parlare sempre molto bene, perché nell’ordine degli insegnanti sono le uniche che, oltre a istruire, educano, curando non solo l’intelligenza dei bambini, ma anche la loro parte emotiva, la loro aperura sociale, persino i loro bisogni fisiologici, cosa che non avviene più nelle scuole superiori, dove al massimo si istruisce ma non si educa. Infatti non si può educare quando le classi sono composte da trenta studenti e quando i professori, pur avendo a che fare con ragazzi in età evolutiva, non hanno mai letto un libro, né tantomeno sostenuto un esame di psicologa dell’età evolutiva. In un congresso internazionale sull’istruzione nel mondo, la scuola primaria italiana è al sesto posto in un elenco di 421 scuole prese in esame. Teniamone conto prima di parlarne male.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 27 ottobre 2018 -

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