Un tempo
spesso affrontato riguarda il rapporto tra chi scrive libri di saggi o
romanzi e libri scritti o letti. È l’autore che li crea o sono libri che ha
letto a creare lo scrittore? La risposta più frequente e apparentemente ovvia è
che sia l’autore a creare i libri, ma c’è un’altra risposta: sono i libri a
creare l’autore: mentre tu scrivi i personaggi ti prendono la mano e ti
conducono dove essi vogliono e questo anche quando non sono romanzi ma
personaggi, ma soltanto idee e pensieri- Un insieme, di idee si sviluppa
automaticamente, ti trascina in avanti e tu ne sei affascinato e lo segui.
Sembra impossibile questa sorta di incrocio tra creato e creatore che riguarda
(così sembra) la letteratura narrativa o filosofica. Ma a guardar bene concerne
perfino la scienza matematica e la fisica teorica. Fu Montaigne a porre il
problema, Cartesio a cercare di definire con il pensiero che lo rese un
creatore indimenticabile: “Cogito, ergo sum”. Dopo molto tempo fu Einstein che
dopo numerosi studi formulò la teoria sulla relatività. Le sue equazioni erano
matematicamente perfette ma del tutto prive dopo Arthur Eddington scattò una
serie di fotografie durante un eclisse di sole.
Da quelle osservazioni l’equazione di Einstein risultava confermata: la
perfetta formula matematica che certificava appunto la relatività. Ricorderò Infine l’intervento divertente
ma molto significativo di Diderot quando racconta che un pomeriggio, seduto su
una panchina del parco del Palais Royal a Parigi, cominciò a porsi il problema
di che cosa fossero i suoi pensieri, da dove venissero e perché, dopo averli
vissuti scomparissero sostituiti da altri. Mentre meditava su quel tema vedeva
anche in fondo a quel parco delle giovani prostitute che seducevano uomini di
passaggio e li portavano sotto gli archi soddisfacendo i loro desideri e poi
tornando nel parco per accalappiarne altri. Cartesio fondò una frase diventata
celebre ma Diderot ne disse un’altra che coglieva una verità da lui
direttamente vissuta: “I miei pensieri sono le mie puttane”. In effetti il tema
del pensiero è dominante: che ciascuno di noi ne sia consapevole oppure no, noi
pensiamo continuamente salvo quando siamo nel culmine di una soddisfazione
sessuale o quando il nostro sistema nervoso sia affetto da una malattia mentale
che ci getti in uno stato ipnotico. Orgasmo sessuale e ipnosi annullano il
pensiero. Ma la domanda che a questo punto diventa incalzante riguarda la
natura del pensiero: che cos’è? Da dove viene e come si sviluppa? La risposta è molteplice: nasce dagli
istinti, viaggia nel sistema nervoso, ad essere consapevole della sua natura in
alcune mappe cerebrali, collegate con quasi tutti gli organi principali del
nostro corpo che a loro volta sono collegati e in particolare i reni, il fegato,
le arterie, il cuore. L’istinto è la base di partenza ed è presente in tutto il
genere animale al quale apparteniamo, ma in nessuno degli altri animali
l’istinto si trasforma in pensiero salvo, in forme molto attenuate ed
elementari, nei cosiddetti animali “nobili”: il cavallo, il topo, il cane, il
gatto, i volatili e i pesci del mare, l’orango e lo scimpanzé dal quale il
genere umano discende. Ma rispetto agli altri noi, abbiamo una differenza
fondamentale: è l’Io la cui funzione è quella della consapevolezza di esistere
e di guidarci e giudicare il nostro operare. L’amore, il dolore, il pentimento,
l’odio, l’ambizione, la soddisfazione, l’amicizia, l’intelligenza, la vergogna,
sono tutti sentimenti derivanti dall’Io, la cui funzione più importante è
quella dell’autocoscienza che è presente in tutto il genere umano ma variabile
nella sua intensità. Questa è la natura dei pensieri, la loro origine e la loro
funzione. Cartesio lo ha definito con tre parole che dicono tutto ma dovrebbero
essere capovolte nella dicitura. Non è “Penso dunque sono” ma piuttosto “Sono,
dunque penso”. Può sembrare un gioco di parole che cambiano il soggetto, ma non
è un gioco: il soggetto è l’Io (sono) ed è dall’Io che si distingue la nostra
specie da tutte le altre.
Eugenio
Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 18 novembre 2018 -
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