Il Cibo È L’Energia rinnovabile della storia. E al tempo
stesso il motore della cultura. I grandi tornanti dell’evoluzione umana sono
tutti legati al cibo, dall’invenzione del fuoco a quella degli Ogm. A ben
pensarci la civiltà stessa è una sorta di cucina. Perché ci strappa alla nostra
naturalità nuda e cruda, e ci trasforma rendendoci “coltivati”. Non a caso le
parole coltura e cultura hanno lo stesso significato. E gli uomini cominciano a
distinguersi dagli altri animali quando smettono di nutrirsi e si mettono ai
fornelli. Come dire che homo sapiens e
homo edem sono la stessa persona. È per questo che in questo tempo di
migrazioni, di contrapposizioni e di integrazioni, conoscere la cultura
alimentare propria e degli altri diventa uno strumento educativo potente, che
riduce le distanze, le diffidenze e le differenze. Rende meno temibili le
diversità e più accoglienti le identità. In questo senso, il nostro futuro
dipende dall’uso che faremo del cibo. Non solo per sopravvivere, ma soprattutto
per vivere bene, a lungo e in salute. Oltre che in pace con gli altri e con
l’ambiente. E per vincere la scommessa, c’è bisogno di riscrivere la nostra
scala dei valori alimentari. O una nuova cultura e una nuova scala di valori,
fondata sulla sostenibilità e sulla convivialità. Non è un caso che in spagnolo
mangiare si dica comer, dal latino cum eere, mangiare insieme. E che dalla
parola di edere derivi il nostro
termine educazione. Come dire che mangiare ed educare coincidono fin dalle
sorgenti della nostra civiltà. Ecco perché la promozione della cultura del cibo
è una delle grandi sfide della politica, della formazione e dell’informazione.
Per dare risposte corrette e lungimiranti a quella volontà di sapere diventata
ormai il pensiero dominante del nostro tempo. Che dell’alimentazione ha fatto
una passione e un’ossessione. Oscillante tra Cibo-mania e cibo-fobia, etica e
dietetica. Ma anche la materia prima di una nuova idea dello sviluppo e della
sicurezza, dell’ecologia e dell’economia, dell’equità e della felicità, della
salute e del piacere. I grandi temi del presente, come la qualità della vita,
la longevità, la difesa dell’ambiente e del vivente, la salvaguardia della
biodiversità, la bioetica animale, la tutela delle filiere corte, la
valorizzazione delle identità e delle comunità passano soprattutto attraverso
le scelte e le sensibilità alimentari. In questo senso la dieta mediterranea.
che l’UNESCO ha iscritto nella lista del patrimonio intangibile nel 2010 – è
l’immagine stessa del mangiare di domani. Buono, democratico, stagionale,
conviviale e solidale. Dietro ogni cibo, dietro ogni sapore, c’è una storia
sociale e personale che viene da molto lontano. Dall’abilità degli artigiani,
dalla sapienza contadina, dalla creatività delle donne, costrette a fare di
necessità virtù, trasformando la scarsità in bontà. Quel che rende straordinari
i patrimoni materiali e immateriali dell’alimentazione è proprio l’antico
intreccio di cultura e misura di cui essi sono espressione. Dove la misura
indica una sorta di equilibrio aureo che regola le relazioni sociali e
ambientali. Un algoritmo “equo”. Come indica la parola italiana “cibo” che
deriva proprio dal greco Kebos, che
era lo strumento per calcolare la quantità giusta di alimenti. Quel senso della
misura che è stato dimenticato negli anni della bulimia consumistica. Quando
l’idea dello sviluppo infinito ha prodotto corpi a sua immagine e somiglianza.
Obesi da un lato e sottopeso dall’altro. Entrambi malnutriti, o per eccesso o
per difetto. Perché ancora oggi l’umanità resta divisa in due. Tra chi ha più
fame che cibo e chi ha più cibo che fame. Tra chi cerca di mangiare e chi cerca
di non mangiare.
Marino Niola – Opinioni – Donna di La Repubblica 24 novembre
2018 -
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