Professori Parlate Al Cuore
Bisogna evitare che i giovani a scuola si sentano stranieri nella propria vita
Sono un’insegnante da poco tornata a sedere “in cattedra”, di fronte ai “miei ragazzi”: Molti di loro li conosco bene perché sono i miei alunni da quattro anni, altri un po’ meno bene, perché più piccoli, ma tutti sono accumunati da uno sguardo che mi ha sempre incuriosito per la loro grande volontà di imparare.
Sembrerà strano che un’insegnante dica così, perché noi ci lamentiamo sempre della scarsa volontà degli studenti, della poca attenzione ai nostri discorsi. In realtà, loro sono molto attenti, ma le nostre parole le sentono lontane e distaccate dalla loro realtà e allora non possono far altro che distrarsi e rifugiarsi in un mondo del tutto personale.
C’è da chiedersi perché molti di noi non sono in grado di avvicinarsi a loro, di compenetrarsi nei loro disagi, di commuoversi per le loro emozioni, di gioire per i loro successi. Credo che il motivo sia abbastanza ovvio: sono molto ignoranti, nel senso che ignorano che per far avvicinare un ragazzo alla cultura serve entrare in sintonia con il loro cuore. Non lo fanno con cattiveria, ma proprio non sanno cosa significa entrare in sintonia con qualcuno, neanche con i colleghi, con i genitori dei propri alunni, con i collaboratori scolastici, con nessuno. Avrebbero bisogno di fare dei “corsi di recupero” per imparare a rapportarsi agli altri senza sentirsi al di sopra di tutti ed essere disponibili ad imparare dagli altri, anche da coloro cui dovrebbero insegnare. Un nuovo anno scolastico comincia, ma i problemi sono sempre gli stessi e, se possibile, sempre più gravi, perché in molti di noi c’è la certezza che il nostro operato sia ineccepibile e non sia responsabile dell’ignoranza delle nozioni dei nostri alunni.
Lettera firmata.
In cattedra si sale per impartire un’istruzione, ma lei aggiunge ai “miei ragazzi”. E in questo aggettivo possessivo c’è già quel riferimento affettivo, a cui la sua lettera allude come alla condizione essenziale perché l’istruzione possa essere efficace.
L’elemento affettivo fa la differenza tra “istruzione” ed “educazione” perché, a differenza dell’istruzione, l’educazione prevede anche la cura dell’emotività dello studente, in quella stagione adolescenziale dove i fattori emotivi sono non solo più potenti di quelli intellettuali, ma soprattutto la mente non si dischiude se non si apre quello che lei chiama il “cuore2.
Già Platone avvertiva che non si apprende se non per via erotica e ciascuno di noi può aver sperimentato che le materie che più ci interessavano erano quelle impartite da professori che ci avevano affascinato e che avevano coinvolto la nostra emotività. Attraverso questo coinvolgimento, i ragazzi costruiscono la loro identità, che è poi il sentimento che uno ha di sé, base della propria autostima, senza la quale non c’è impegno, non c’è interesse, non c’è motivazione. E di conseguenza non c’è apprendimento.
Ma quanti sono i professori che si preoccupano del coinvolgimento emotivo dei loro studenti? E sappiano condurli dall’impulso (che ci è dato per natura, e che si esprime con azioni e reazioni irriflesse e talvolta violente come nel caso del bullismo), all’emozione spesso spenta nei nostri ragazzi, che non di rado appaiono indifferenti ad ogni evento? Senza una partecipazione emotiva non si accede al sentimento che, come l’umanità ha sempre saputo, non è un dato di “natura” ma di “cultura”. Per questo in ogni tempo e in ogni luogo si è provveduto, con racconti mitici e oggi letterari, a segnalare cos’è l’amore, il dolore, la noia, la disperazione, l’entusiasmo, la gioia. Infatti solo quando si conoscono i nomi e o percorsi di quanto si agita nel nostro cuore, è possibile evitare l’angoscia che sempre accompagna i turbamenti emotivi, così frequenti e intensi nell’adolescenza, soprattutto quando restano sconosciuti e, in quanto sconosciuti, ingestibili.
Senza questa cura per la formazione del sentimento, che è la via d’accesso all’apertura della mente, l’istruzione non arriva al cuore e perciò non diventa processo formativo, così importante in quell’età incerta e faticosa che è l’adolescenza, dove la comparsa della sessualità chiede, come ci insegna Freud, il duro lavoro di una riformulazione della propria visione del mondo, e dove la formazione della persona non solo è più importante delle competenze che si possono acquisire, ma è anche la condizione per cui si possono acquisire.
Umberto Galimberti – Donna di Repubblica – 29-9-12
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