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martedì 16 ottobre 2012

Lo Sapevate Che: Sandwich Generation....


Sandwich Generation
Schiacciata tra lavoro, figli, genitori anziani, è la fascia di età che paga più cara la crisi dello Stato sociale

Noi baby boeme abbiamo anche un altro nome, poco lusinghiero, qui negli Stati Uniti: “generazione sandwich”. Si applica soprattutto al femminile. Lo inventò una assistente sociale. Dorothy Miller, 25 anni fa. Descriveva le donne di trenta o quaranta’anni (allora). Schiacciate come la fettina di prosciutto in mezzo al panino. Da una parte, il carico di lavoro per allevare i figli. Dall’altra, le incombenze professionali, le esigenze dei mariti o compagni, e sempre più spesso anche la responsabilità di accudire i genitori anziani. E’ una storia che le donne italiane conoscono bene, quel che sorprende è quanto sia vera anche qui negli Stati Uniti. E lo diventa sempre di più. Perché due tendenze la rafforzano: la crisi economica, con il suo impatto sui figli, e la longevità dei genitori. Nel frattempo, le trentenni che descriveva la Miller alla fine degli anni Ottanta oggi hanno qualche capello bianco e qualche ruga, ma il carico di responsabilità su di loro non accenna a diminuire.
Vivien Diller, una psicologa di New York che scrive un blog sull’Huffington Post, denuncia il fatto che “stiamo sovraccaricando la generazione sandwich”. LA Diller, che è stata anche una consulente di grandi marche di cosmetici, da qualche anno prende di mira le rappresentazioni troppo ottimistiche sulla nostra generazione. Un suo libro del 2010 fustiga il mito dell’eterna giovinezza e ha un titolo evocativo: Guardarsi in faccia: cosa le donne provano davvero quando il loro aspetto cambia. Il suo ultimo bersaglio sono gli scenari idilliaci su una vita “dopo lla mezza età” sempre più appagante, gratificante, ricca di opportunità. “Si fa un gran parlare”. Scrive sul suo blog Post50, “di baby boeme che reinventano se stessi, cercano di dare un nuovo significato alla loro vita, sperimentano nuovi compagni e nuove avventure. Alla prova dei fatti, risulta che molte di noi se ne stanno semplicemente a casa a occuparsi dei propri figli, dei nipoti, e perfino degli anziani genitori. Le donne di mezza età, più che di reinventarsi, hanno bisogno di riposarsi e rifornirsi di energia, per fronteggiare questi ruoli faticosi”.
L’America in questo è meno diversa dall’Italia di quanto si creda. Anzitutto con la crisi del 2008 ha scoperto il fenomeno dei “ boomerang Kids”, i figli che tornano a vivere in casa dei genitori. Oggi quasi la metà dei giovani sotto i 25 anni di età sono costretti a ripararsi sotto il tetto di mamma e papà, o a non lasciarlo neppure. E’ il risultato di una disoccupazione giovanile insolitamente elevata (per gli Stati Uniti). E’ un cambiamento doloroso, traumatico, umiliante, in una società che per oltre mezzo secolo si era abituata a vedere i giovani “spiccare il volo” fin dal 18esimo anno di età, con l’ingresso al college che segnava l’inizio della vita adulta, dell’indipendenza, della mobilità geografica e sociale. Ora i boomerang Kids fanno affidamento sui genitori anche quando a loro volta hanno dei pupi. Il 70% dei nonni giovani (tipicamente sono baby boeme, sulla cinquantina inoltrata o la sessantina) danno un’assistenza fattiva per almeno due anni o molti di più, nell’accudire i nipotini. I giovani nonni come sostituti del Welfare, come surrogati degli asili nido, eccetera: anche l’America scopre questo fenomeno, e su scala di massa. E’ una conseguenza dei tagli allo Stato sociale, e della crisi economica che riduce il tenore di vita delle coppie più giovani (non possono più permettersi baby sitter e altri aiuti domestici).
All’estremo opposto del ventaglio generazionale, un esercito di bisnonni ha egualmente bisogno di assistenza. E la chiede ancora una volta alla generazione sandwich. Diminuisce il flusso degli anziani benestanti che vanno a vivere una terza o quarta età dorata a Miami in Florida o a Palm Springs in California: costa troppo. Un’inchiesta del National Health and Retirement indica che il 73% degli ultrasettantenni preferiscono vivere entro un raggio di appena dieci miglia di distanza dai propri figli; e non hanno alcuna intenzione di spostarsi da lì. All’inizio del secolo scorso, solo il 7% dei sessantenni aveva ancora un genitore in vita, oggi sono il 50% e la percentuale cresce continuamente. Di questo passo, presto la normalità sarà avere due genitori ancora vivi fino a 90 anni e oltre. “E nella nostra cultura”, dice la Diller “ è la generazione di mezzo l’ultimo supporto, l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi quando tutti gli altri aiuti vengono meno”. In un certo senso, questo ruolo conferma ancora una volta la centralità dei baby boeme. “Le altre generazioni, i molto anziani e i giovani”, conclude la psicologa newyorchese “danno per scontato che noi ci siamo, e non li molleremo”.
Federico Rampini – Donna di Repubblica – 13-10-12


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