La Bella Gigogin
“Aveva un bavero color zafferano e la marsina color ciclamino, andava a piedi da Lodi a Milano, per incontrare la bella Gigogin”.
Valeria canticchiava mentalmente questo antico motivetto mentre si esercitava a camminare senza appoggi nel parco adiacente al mausoleo della Bella Rosina.
Le sembrava di ricordare che quei versi fossero dedicati proprio all’amante prediletta di Vittorio Emanuele, anzi la moglie morganatica, che gli aveva dato due figli.
Queste riflessioni la distraevano dalle sofferenze subite di recente. Un fe
more rotto durante uno spaventoso incidente, ore di operazione e sfinente fisioterapia.
“Certo che potevi trovare un posto migliore in cui portarmi – disse ad un tratto a Luigi, il suo compagno – qui c’è una tomba vuota e l’ambiente è un po’ sinistro, una volta ci facevano le messe nere”.
In realtà Valeria si sentiva contenta, nata e vissuta a Mirafiori, era orgogliosa delle sue origini di periferia. Nei locali vicini al mausoleo ora sorgeva una piccola biblioteca e l’intera struttura ospitava mostre e dibattiti.
“L’ho scelto apposta per il tuo passato dark e il tuo amore per i film gotici di Tim Burton” – rispose Luigi facendole l’occhiolino. “Tim Burton, il regista che parla con sensibilità e poesia dei diversi – pensò la giovane donna – farebbe volentieri un film qui”.
Rosina era un’esclusa, in quanto moglie non ufficiale e anche Mirafiori Sud lo è stata per molto tempo nei confronti di Torino.
Quartiere ghetto, dormitorio, lo definivano così. Ma, come il suo femore, era cambiato, si era rafforzato. Le gambe di Valeria e la realtà di quel quartiere erano tornate forti ed in grado di evolversi verso livelli sempre più soddisfacenti di vita e convivenza civile.
Non per niente, dentro il mausoleo, qualcuno voleva realizzare un planetario.
Noria Nalli
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