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giovedì 3 febbraio 2022

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L'incidente della funivia del Cermis, spesso definito dagli organi di informazione come la strage del Cermis, si riferisce ai fatti avvenuti il 3 febbraio 1998 quando un aereo militare statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, volando a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti, tranciò il cavo della funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti.

L'incidente è avvenuto nei pressi di Cavalese, località sciistica delle Dolomiti a 40 km nord-est di Trento, in Val di Fiemme, durante manovre effettuate dai piloti statunitensi per "divertirsi" e "riprendere filmati del panorama". Joseph Schweitzer, uno dei due piloti statunitensi coinvolti nell'incidente, nel 2012 confessò di aver distrutto, al suo ritorno alla base, il nastro video che avrebbe consentito di svelare la verità sull'incidente.

Il capitano Richard J. Ashby, pilota dell'aereo, e il suo navigatore furono sottoposti a processo negli Stati Uniti e assolti dalle accuse di omicidio preterintenzionale e omicidio colposo rispettivamente, omicidio involontario e per negligenza secondo l'ordinamento statunitense. In seguito furono riconosciuti colpevoli di ostruzione alla giustizia e condotta inadatta a un ufficiale per aver distrutto il nastro video registrato sull'aereo e pertanto congedati d'autorità dal corpo dei Marines. Il disastro e l'assoluzione dei piloti compromisero le relazioni tra Stati Uniti e Italia.

La cronaca

Il 3 febbraio 1998 alle 14:36 un Grumman EA-6B Prowler del corpo dei Marines decollò dalla base aerea di Aviano. Il piano del velivolo, pilotato dal capitano Richard Ashby, era di svolgere un volo di addestramento a bassa quota.

Alle ore 15:12:51 l'aereo tranciò le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis. La cabina della funivia, con venti persone, precipitò da un'altezza di circa 150 metri schiantandosi al suolo dopo un volo di sette secondi. Il velivolo, danneggiato all'ala e alla coda, fu comunque in grado di tornare alla base.

Nella strage morirono i 19 passeggeri e il manovratore, cittadini di paesi europei: tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese.

I media italiani diedero forte risalto all'episodio e il presidente degli Stati Uniti d'America Bill Clinton si scusò per l'incidente alcuni giorni dopo, promettendo alle famiglie delle vittime risarcimenti in denaro. Comunque lo svolgersi delle indagini e l'esito dei processi incrinarono le relazioni tra Stati Uniti e Italia.[senza fonte]

I video registrati dai soldati americani vennero inoltre eliminati, per non lasciare traccia della condizione nella quale il pilota guidava il mezzo

L'inchiesta

Nonostante la presenza di testimoni, la dinamica dei fatti non apparve subito chiara. Solo la prontezza dei magistrati trentini, che sequestrarono immediatamente l'aereo incriminato nella base di Aviano, permise di chiarire le responsabilità: l'aereo era già pronto per essere smontato e riparato. La dinamica poté essere provata quando all'interno del taglio sull'impennaggio di coda furono trovati resti della fune troncata.

I pubblici ministeri italiani chiesero di processare in Italia i quattro marines dell'equipaggio, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento ritenne che, in forza della convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo status dei militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense.[7] Anche la Procura militare di Padova aprì un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità da parte del Comandante italiano che aveva autorizzato il volo che causò la tragedia. Nell’ambito di tali indagini, il Procuratore militare di Padova Maurizio Block chiese anche l’esibizione di taluni documenti ancora coperti dal segreto di Stato, che gli furono concessi. Tuttavia l'indagine non portò ad evidenziare alcuna responsabilità a carico del comandante della base pro-tempore. Inizialmente tutti e quattro i membri dell'equipaggio furono indagati, ma solo il capitano Richard Ashby, il primo pilota, e il capitano Joseph Schweitzer, il suo navigatore, comparirono effettivamente davanti al tribunale militare americano per rispondere dell'accusa di omicidio colposo. L'equipaggio era così composto:

·       Capitano Richard Ashby, pilota e comandante dell'aereo

·       Capitano Joseph Schweitzer, navigatore

·       Capitano William Rancy, addetto ai sistemi di guerra elettronica

·       Capitano Chandler Seagraves, addetto ai sistemi di guerra elettronica

La confessione di Joseph Schweitzer]

Nel gennaio 2012 un'inchiesta di National Geographic fece luce su alcuni retroscena della vicenda grazie alla testimonianza inedita degli investigatori americani che tentarono invano di far condannare i responsabili e di Joseph Schweitzer, che per la prima volta parlò dicendo che aveva distrutto il supporto dov'era registrato il video per impedire che si arrivasse alla verità: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che la CNN mandasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime». Per questi fatti fu accusato di intralcio alla giustizia

Responsabilità civile e penale

Responsabilità penale

In base alla Convenzione di Londra del 1951 sullo status dei militari della NATO, il processo ai soldati statunitensi autori della strage spettava al paese d'appartenenza, quindi agli Stati Uniti. A disciplinare invece l'uso delle infrastrutture nel territorio italiano da parte delle forze armate statunitensi era l'accordo quadro bilaterale del 1954 tra Italia e USA, desecretato solo nel 1999 dall'allora Presidente del Consiglio italiano Massimo D'Alema

Il processo a Richard Ashby, il pilota, fu celebrato a Camp Lejeune nella Carolina del Nord. La corte militare accertò che le mappe di bordo non segnalavano i cavi della funivia e che l'aereo EA-6B stava volando a velocità maggiore e a una quota molto minore di quanto permesso dalle norme militari. Le prescrizioni in vigore al tempo dell'incidente imponevano infatti un'altezza di volo di almeno 2.000 piedi (609,6 m). Il pilota dichiarò di ritenere che l'altezza di volo minima fosse invece di 1.000 piedi (304,8 m). Tuttavia il cavo fu tranciato a un'altezza di 360 piedi (110 m). Il pilota sostenne che l'altimetro era rotto e affermò di non essere stato a conoscenza delle restrizioni di velocità. Nel marzo del 1999 la giuria lo assolse, provocando indignazione in Italia e in Europa. Anche le accuse di omicidio colposo nei confronti del navigatore Joseph Schweitzer non ebbero seguito.

I due militari furono nuovamente giudicati dalla corte marziale USA per intralcio alla giustizia per aver distrutto il nastro video registrato durante il volo. Per tale capo d'accusa furono riconosciuti colpevoli nel maggio del 1999. Entrambi furono degradati e rimossi dal servizio. Il pilota fu inoltre condannato a sei mesi di detenzione, ma fu rilasciato dopo quattro mesi e mezzo per buona condotta.

Nel febbraio 2008 i due piloti hanno impugnato la sentenza e richiesto la revoca della radiazione con disonore allo scopo di riavere i benefici finanziari spettanti ai militari; hanno anche affermato che all'epoca del processo accusa e difesa strinsero un patto segreto per far cadere l'accusa di omicidio colposo plurimo, ma di aver voluto mantenere l'accusa di intralcio alla giustizia «per soddisfare le pressioni che venivano dall'Italia». È stato comunque riconosciuto che l'aereo viaggiava a bassa quota e che la velocità era eccessiva considerati gli ostacoli presenti in zona.

Nell'agosto del 2009 la Corte di appello degli Stati Uniti d'America si è pronunciata in merito e ha confermato la condanna di primo grado ("We affirm the decision of the United States Navy-Marine Corps Court of Criminal Appeals", [9], pagina 56).

Risarcimenti ai familiari

Nel febbraio 1999 il Senato degli Stati Uniti stanziò circa 40 milioni di dollari per i risarcimenti ai familiari delle vittime e per la ricostruzione dell'impianto di risalita, ma nel maggio dello stesso anno il ministro della difesa William Cohen non confermò lo stanziamento, respinto da una commissione del Congresso. Quindi in prima istanza i risarcimenti furono a carico della provincia autonoma di Trento e del governo italiano. Nell'immediatezza del fatto la provincia autonoma di Trento stanziò cinquantamila euro per ogni vittima come concorso alle spese immediate e intervenne per finanziare la ricostruzione dell'impianto di risalita, somme rimborsate alla provincia dalla Repubblica italiana nel settembre del 2004.

Il 13 luglio 1998 la Federazione Italiana Lavoratori Trasporti della provincia autonoma di Trento e altri avevano portato gli Stati Uniti d'America in giudizio davanti al tribunale di Trento, chiedendo che fosse accertato e dichiarato che l'attività di addestramento svolta dai velivoli militari statunitensi sopra il territorio della provincia autonoma arrecava grave pericolo all'incolumità fisica degli abitanti, chiedendo in via principale la pronuncia di una condanna del governo statunitense, la cessazione immediata dell'attività pericolosa accertata e in particolare del sorvolo del territorio con caccia militari, in via subordinata l'adozione di ogni più opportuna cautela per limitare tale attività, per escludere qualsiasi pericolo per la vita, la salute e l'integrità fisica dei lavoratori addetti ai trasporti su fune.

Tuttavia, con regolamento preventivo di giurisdizione, gli Stati Uniti d'America e il governo italiano proposero ricorso alla Corte di cassazione perché dichiarasse il difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano, in forza del principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto della cosiddetta immunità dalla giurisdizione civile del paese estero; le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 530/2000, in accoglimento del ricorso, pronunciarono il difetto assoluto di giurisdizione e la condanna della Federazione dei lavoratori trentini a rifondere le spese di lite. La suprema Corte precisò nella circostanza che in base all'art. 10, comma 1 Cost. le consuetudini internazionali formatesi anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, come l'immunità dalla giurisdizione civile del paese estero in relazione alle attività in cui si esplica il suo potere sovrano (acta iure imperii), sono recepite automaticamente e senza limiti nell'ordinamento interno, sicché doveva essere dichiarato il difetto di competenza giurisdizionale del giudice italiano che non poteva quindi entrare nel merito e concedere il provvedimento inibitorio urgente richiesto.

Vittime

Nazionalità

Vittime

 Germania

7

 Belgio

5

 Italia

3

 Polonia

2

 Austria

2

 Paesi Bassi

1

Totale

20

Morirono nell'incidente:

·       Hadewich Antonissen (24, Vechelderzande), belga;

·       Stefan Bekaert (28, Lovanio), belga;

·       Dieter Frank Blumenfeld (47, Burgstädt), tedesco;

·       Rose-Marie Eyskens (24, Kalmthout), belga;

·       Danielle Groenleer (20, Apeldoorn), olandese;

·       Michael Pötschke (28, Burgstädt), tedesco;

·       Egon Uwe Renkewitz (47, Burgstädt), tedesco;

·       Marina Mandy Renkewitz (24, Burgstädt), tedesca;

·       Maria Steiner-Stampfl (61, Bressanone), italiana;

·       Ewa Strzelczyk (37, Gliwice), polacca;

·       Philip Strzelczyk (14, Gliwice), polacco;

·       Annelie (Wessig) Urban (41, Burgstädt), tedesca;

·       Harald Urban (41, Burgstädt), tedesco

·       Sebastian Van den Heede (27, Bruges), belga;

·       Marcello Vanzo (56, Cavalese), manovratore della Cabina in discesa, italiano;

·       Stefaan Vermander (27, Assebroek), belga;

·       Anton Voglsang (35, Vienna), austriaco;

·       Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;

·       Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;

·       Edeltraud Zanon-Werth (56, nata a Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.

https://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_della_funivia_del_Cermis

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