L'incidente della funivia del Cermis, spesso definito
dagli organi di informazione come la strage del Cermis, si
riferisce ai fatti avvenuti il 3 febbraio 1998 quando un aereo militare
statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, volando
a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti,
tranciò il cavo della funivia del Cermis, facendo
precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti.
L'incidente è avvenuto nei pressi di Cavalese,
località sciistica delle Dolomiti a 40 km nord-est di Trento,
in Val di
Fiemme, durante manovre effettuate dai piloti statunitensi per
"divertirsi" e "riprendere filmati del
panorama". Joseph Schweitzer, uno dei due piloti statunitensi
coinvolti nell'incidente, nel 2012 confessò di aver distrutto, al suo ritorno
alla base, il nastro video che avrebbe consentito di svelare la verità
sull'incidente.
Il capitano Richard
J. Ashby, pilota dell'aereo, e il suo navigatore furono sottoposti a
processo negli Stati Uniti e assolti dalle accuse di omicidio preterintenzionale e omicidio colposo rispettivamente,
omicidio involontario e per negligenza secondo l'ordinamento statunitense. In
seguito furono riconosciuti colpevoli di ostruzione alla giustizia e condotta
inadatta a un ufficiale per aver distrutto il nastro video registrato
sull'aereo e pertanto congedati d'autorità dal corpo dei Marines. Il disastro e
l'assoluzione dei piloti compromisero le relazioni tra Stati Uniti e Italia.
La cronaca
Il 3 febbraio 1998 alle 14:36 un
Grumman EA-6B Prowler del corpo dei Marines decollò dalla base aerea di Aviano. Il piano del velivolo, pilotato
dal capitano Richard Ashby, era di svolgere un volo di addestramento a bassa
quota.
Alle ore 15:12:51 l'aereo tranciò le
funi del tronco inferiore della funivia del Cermis. La cabina della funivia,
con venti persone, precipitò da un'altezza di circa 150 metri schiantandosi al
suolo dopo un volo di sette secondi. Il velivolo, danneggiato all'ala e alla coda, fu
comunque in grado di tornare alla base.
Nella strage morirono i 19 passeggeri e
il manovratore, cittadini di paesi europei: tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese.
I media italiani diedero forte risalto
all'episodio e il presidente degli
Stati Uniti d'America Bill
Clinton si scusò per l'incidente alcuni giorni dopo,
promettendo alle famiglie delle vittime risarcimenti in denaro. Comunque lo
svolgersi delle indagini e l'esito dei processi incrinarono le relazioni tra
Stati Uniti e Italia.[senza fonte]
I video registrati dai soldati americani
vennero inoltre eliminati, per non lasciare traccia della condizione nella
quale il pilota guidava il mezzo
L'inchiesta
Nonostante la presenza di testimoni, la
dinamica dei fatti non apparve subito chiara. Solo la prontezza dei magistrati trentini,
che sequestrarono immediatamente l'aereo incriminato nella base di Aviano,
permise di chiarire le responsabilità: l'aereo era già pronto per essere
smontato e riparato. La dinamica poté essere provata quando all'interno del
taglio sull'impennaggio di coda furono trovati
resti della fune troncata.
I pubblici ministeri italiani chiesero
di processare in Italia i quattro marines dell'equipaggio, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento ritenne che, in
forza della convenzione di Londra
del 19 giugno 1951 sullo status dei militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse
riconoscersi alla giustizia militare statunitense.[7] Anche la Procura
militare di Padova aprì un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità da
parte del Comandante italiano che aveva autorizzato il volo che causò la
tragedia. Nell’ambito di tali indagini, il Procuratore militare di Padova Maurizio Block chiese anche
l’esibizione di taluni documenti ancora coperti dal segreto di Stato, che gli
furono concessi. Tuttavia l'indagine non portò ad evidenziare alcuna
responsabilità a carico del comandante della base pro-tempore. Inizialmente
tutti e quattro i membri dell'equipaggio furono indagati, ma solo il capitano Richard Ashby,
il primo pilota, e il capitano Joseph Schweitzer, il suo navigatore,
comparirono effettivamente davanti al tribunale militare americano per
rispondere dell'accusa di omicidio colposo. L'equipaggio era così composto:
·
Capitano Richard Ashby, pilota e comandante dell'aereo
·
Capitano Joseph Schweitzer, navigatore
·
Capitano William Rancy, addetto ai sistemi di guerra elettronica
·
Capitano Chandler Seagraves, addetto ai sistemi di guerra elettronica
La confessione di Joseph Schweitzer]
Nel gennaio 2012 un'inchiesta
di National Geographic fece luce su
alcuni retroscena della vicenda grazie alla testimonianza inedita degli
investigatori americani che tentarono invano di far condannare i responsabili e
di Joseph Schweitzer, che per la prima volta parlò dicendo che aveva distrutto
il supporto dov'era registrato il video per impedire che si arrivasse alla
verità: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che la CNN mandasse in onda il mio
sorriso e poi il sangue delle vittime». Per questi fatti fu accusato di
intralcio alla giustizia
Responsabilità civile e penale
Responsabilità penale
In base alla Convenzione di Londra del
1951 sullo status dei militari della NATO, il processo ai
soldati statunitensi autori della strage spettava al paese d'appartenenza,
quindi agli Stati Uniti. A disciplinare invece l'uso delle
infrastrutture nel territorio italiano da parte delle forze armate statunitensi
era l'accordo quadro bilaterale del 1954 tra Italia e USA, desecretato solo nel
1999 dall'allora Presidente del Consiglio italiano Massimo D'Alema
Il processo a Richard Ashby, il pilota,
fu celebrato a Camp Lejeune nella Carolina del Nord. La corte militare accertò che le mappe
di bordo non segnalavano i cavi della funivia e che l'aereo EA-6B stava volando
a velocità maggiore e a una quota molto minore di quanto permesso dalle norme
militari. Le prescrizioni in vigore al tempo dell'incidente imponevano infatti
un'altezza di volo di almeno 2.000 piedi (609,6 m). Il pilota dichiarò
di ritenere che l'altezza di volo minima fosse invece di 1.000 piedi
(304,8 m). Tuttavia il cavo fu tranciato a un'altezza di 360 piedi
(110 m). Il pilota sostenne che l'altimetro era rotto e affermò di non
essere stato a conoscenza delle restrizioni di velocità. Nel marzo del 1999 la giuria lo
assolse, provocando indignazione in Italia e in Europa. Anche le accuse di
omicidio colposo nei confronti del navigatore Joseph Schweitzer non ebbero
seguito.
I due militari furono nuovamente
giudicati dalla corte marziale USA per intralcio alla giustizia per aver
distrutto il nastro video registrato durante il volo. Per tale capo d'accusa
furono riconosciuti colpevoli nel maggio del 1999. Entrambi furono
degradati e rimossi dal servizio. Il pilota fu inoltre condannato a sei mesi di
detenzione, ma fu rilasciato dopo quattro mesi e mezzo per buona condotta.
Nel febbraio 2008 i due piloti
hanno impugnato la sentenza e richiesto la revoca della radiazione con disonore
allo scopo di riavere i benefici finanziari spettanti ai militari; hanno anche
affermato che all'epoca del processo accusa e difesa strinsero un patto segreto
per far cadere l'accusa di omicidio colposo plurimo, ma di aver voluto
mantenere l'accusa di intralcio alla giustizia «per soddisfare le pressioni che
venivano dall'Italia». È stato comunque riconosciuto che l'aereo viaggiava
a bassa quota e che la velocità era eccessiva considerati gli ostacoli presenti
in zona.
Nell'agosto del 2009 la Corte di appello
degli Stati Uniti d'America si è pronunciata in merito e ha confermato la
condanna di primo grado ("We affirm the decision of the United States
Navy-Marine Corps Court of Criminal Appeals", [9], pagina 56).
Risarcimenti ai
familiari
Nel febbraio 1999 il Senato degli
Stati Uniti stanziò circa 40 milioni di dollari per i
risarcimenti ai familiari delle vittime e per la ricostruzione dell'impianto di risalita, ma nel maggio dello
stesso anno il ministro della difesa William Cohen non confermò lo
stanziamento, respinto da una commissione del Congresso. Quindi in prima
istanza i risarcimenti furono a carico della provincia
autonoma di Trento e del governo italiano. Nell'immediatezza del
fatto la provincia autonoma di Trento stanziò cinquantamila euro per ogni
vittima come concorso alle spese immediate e intervenne per finanziare la
ricostruzione dell'impianto di risalita, somme rimborsate alla provincia dalla
Repubblica italiana nel settembre del 2004.
Il 13 luglio 1998 la Federazione
Italiana Lavoratori Trasporti della provincia autonoma di Trento
e altri avevano portato gli Stati Uniti d'America in giudizio davanti al
tribunale di Trento, chiedendo che fosse accertato e dichiarato che l'attività
di addestramento svolta dai velivoli militari statunitensi sopra il territorio
della provincia autonoma arrecava grave pericolo all'incolumità fisica degli abitanti,
chiedendo in via principale la pronuncia di una condanna del governo
statunitense, la cessazione immediata dell'attività pericolosa accertata e in
particolare del sorvolo del territorio con caccia militari, in via subordinata
l'adozione di ogni più opportuna cautela per limitare tale attività, per
escludere qualsiasi pericolo per la vita, la salute e l'integrità fisica dei
lavoratori addetti ai trasporti su fune.
Tuttavia, con regolamento preventivo di
giurisdizione, gli Stati Uniti d'America e il governo italiano proposero
ricorso alla Corte di cassazione perché
dichiarasse il difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano, in forza
del principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto della
cosiddetta immunità dalla giurisdizione civile del paese estero; le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza
n. 530/2000, in accoglimento del ricorso, pronunciarono il difetto assoluto di
giurisdizione e la condanna della Federazione dei lavoratori trentini a
rifondere le spese di lite. La suprema Corte precisò nella circostanza che in
base all'art. 10, comma 1 Cost. le consuetudini internazionali formatesi
anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, come l'immunità dalla
giurisdizione civile del paese estero in relazione alle attività in cui si
esplica il suo potere sovrano (acta iure imperii), sono recepite
automaticamente e senza limiti nell'ordinamento interno, sicché doveva essere
dichiarato il difetto di competenza giurisdizionale del giudice italiano che
non poteva quindi entrare nel merito e concedere il provvedimento inibitorio
urgente richiesto.
Vittime
Nazionalità |
Vittime |
7 |
|
5 |
|
3 |
|
2 |
|
2 |
|
1 |
|
Totale |
20 |
Morirono nell'incidente:
·
Hadewich Antonissen (24, Vechelderzande), belga;
·
Stefan Bekaert (28, Lovanio), belga;
· Dieter Frank Blumenfeld (47, Burgstädt), tedesco;
· Rose-Marie Eyskens (24, Kalmthout), belga;
·
Danielle Groenleer (20, Apeldoorn), olandese;
·
Michael Pötschke (28, Burgstädt), tedesco;
·
Egon Uwe Renkewitz (47, Burgstädt), tedesco;
·
Marina Mandy Renkewitz (24, Burgstädt), tedesca;
·
Maria Steiner-Stampfl (61, Bressanone), italiana;
·
Ewa Strzelczyk (37, Gliwice), polacca;
·
Philip Strzelczyk (14, Gliwice), polacco;
·
Annelie (Wessig) Urban (41, Burgstädt), tedesca;
·
Harald Urban (41, Burgstädt), tedesco
· Sebastian Van den Heede (27, Bruges), belga;
·
Marcello Vanzo (56, Cavalese), manovratore della
Cabina in discesa, italiano;
·
Stefaan Vermander (27, Assebroek), belga;
·
Anton Voglsang (35, Vienna), austriaco;
·
Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;
·
Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;
·
Edeltraud Zanon-Werth (56, nata a Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.
https://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_della_funivia_del_Cermis
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