Taxi
driver, diretto da Martin
Scorsese, vince la Palma d’oro al festival di Cannes nel
1976 e si divide tra un record di incassi e forti critiche per la violenza in
esso contenuto.
Questo film è emblema dei profondi cambiamenti del cinema americano di
quegli anni.
La sceneggiatura scritta da Schrader è stata redatta in
seguito ad un periodo fallimentare della sua stessa vita alla deriva. Depresso
per la fine del suo matrimonio lo sceneggiatore vaga per la città in preda
all’alcool. Colpito dai personaggi qui descritti, Scorsese si getta a capofitto
nella realizzazione di questo grande film. Le risorse economiche sono modeste,
così come il tempo a disposizione. Ciò nonostante la risultante è un capolavoro
senza tempo.
Il protagonista, Travis, interpretato da un magnifico Robert
De Niro, è un reduce della Guerra del Vietnam che non riesce più a
ritrovare il suo posto in una società che ha lasciato per sempre approdando in
Vietnam. Travis vive una triste solitudine esistenziale e tenta senza successo
di inserirsi nella storia. Si presenta come immobilizzato in una condizione che
non gli appartiene e che vorrebbe redimersi attraverso l’amore. Questa
condizione interiore lo porta ad assorbire la violenza della vita urbana.
Psicotico e affetto da insonnia decide di diventare un tassista notturno.
La pellicola viene messa in piedi all’improvviso ed in essa confluiscono le molteplici
idee degli autori raccolte negli anni precedenti. Il fulcro centrale è il vuoto
provocato da una confusione ingestibile pur rimanendo rigoroso sul piano
formale.
È un film che va oltre, di particolare comprensione ma che lascia sicuramente
un segno profondo nello spettatore, che alle volte può concretizzarsi in un
punto interrogativo.
https://www.sansalvo.net/rubriche/tra-note-pellicole-e-pagine/13955/taxi-driver
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