Fëdor Michajlovič Dostoevskij (in russo: Фёдор
Михайлович Достоевский, AFI: [ˈfʲɵdər
mʲɪˈxajləvʲɪtɕ dəstɐˈjɛfskʲɪj] Mosca, 11
novembre 1821 – San
Pietroburgo, 9
febbraio 1881è stato
uno scrittore e filosofo russo.
È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e
pensatori russi di tutti i tempi. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio.
I primi tempi
Fëdor, secondo di otto figli, nasce a Mosca nel
1821 da Michail
Andreevič Dostoevskij, un medico militare russo, figlio
di un arciprete ortodosso discendente da una nobile
famiglia, dal carattere stravagante e dispotico che alleva il ragazzo in un
clima autoritario. La madre, Marija
Fëdorovna Nečaeva, proveniva da una famiglia di ricchi e prosperi
commercianti russi; dal
carattere allegro e semplice, amava la musica ed era molto religiosa. Sarà
lei a insegnare a leggere al figlio facendogli conoscere Aleksandr Sergeevič Puškin, Vasilij Andreevič Žukovskij e
la Bibbia. A Fëdor
succederanno altri sei figli: le quattro sorelle Varvara,
Ljubov', Vera e Aleksandra Dostoevskaja e i due fratelli Andrej e Nikolaj.
Nel 1828 il
padre Michail Andreevič è iscritto con i figli nell'albo d'oro della nobiltà
moscovita. Nel 1831 Fëdor
si trasferisce con la famiglia a Darovoe nel governatorato di Tula dove il padre ha
comprato un vasto terreno. Nel 1834, insieme
al fratello Michail, entra nel convitto privato di L.I. Čermak, a
Mosca. Nel febbraio del 1837 la
madre, da tempo ammalata di tisi, muore e il giovane viene trasferito col
fratello a San Pietroburgo entrando nel convitto preparatorio del capitano K.
F. Kostomarov per sostenere gli esami d'ammissione all'istituto d'ingegneria.
Il 16 gennaio 1838 entra
alla Scuola Superiore del genio militare di San Pietroburgo, dove studia ingegneria militare,
frequentandola però controvoglia essendo i suoi interessi già orientati verso
la letteratura.
L'8 giugno 1839 il
padre, che si era dato al bere e maltrattava i propri contadini, viene ucciso
probabilmente dagli stessi. Alla notizia della morte del padre, Fëdor, all'età
di 17 anni, ebbe il suo primo attacco di epilessia. Le crisi epilettiche lo
perseguiteranno per tutta la vita. Nell'agosto 1841 viene
ammesso al corso per ufficiali e l'anno seguente viene promosso sottotenente.
L'estate successiva
entra in servizio effettivo presso il comando del Genio di San Pietroburgo.
Sono anni d'indigenza. Per sbarcare il lunario, di notte traduce l'Eugénie
Grandet di Honoré de Balzac ed il Don Carlos di Friedrich Schiller. Ma per opposte tendenze,
elemosina e dissolutezza, il denaro non gli basta mai.
Il 12 agosto 1843 Fëdor
si diploma, ma nell'agosto 1844 dà
le dimissioni, lascia il servizio militare e rinuncia alla carriera che il
titolo gli offre. Lottando contro la povertà e la salute cagionevole, comincia
a scrivere il suo primo libro, Povera gente (Bednye Ljudi), che
vede la luce nel 1846 e
ha gli elogi di critici come Belinskij e Nekrasov. In
questo primo lavoro, lo scrittore rivela uno dei temi maggiori della produzione
successiva: la sofferenza per l'uomo socialmente degradato e incompreso.
Nell'estate Dostoevskij inizia a scrivere il suo secondo
romanzo, Il sosia (Dvojnik),
storia di uno sdoppiamento psichico che non ha però il consenso del primo
romanzo, e a novembre, in una sola notte, scrive Romanzo in nove
lettere (Roman v devjati pisem). Vedono successivamente la luce
alcuni racconti su varie riviste, tra i quali i romanzi brevi Le notti
bianche (Belye noči) e Netočka Nezvanova.
L’arresto, la condanna, la grazia
Il 23 aprile 1849 viene arrestato
per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi e imprigionato
nella fortezza di
Pietro e Paolo. In realtà ha sì partecipato a tali riunioni, ma come incuriosito uditore,
non come attivista. Il 16 novembre dello stesso anno, insieme ad altri venti
imputati viene condannato alla pena capitale tramite fucilazione, ma incredibilmente
il 19 dicembre lo zar Nicola I commuta la
condanna a morte in lavori forzati a tempo indeterminato. La revoca
della pena capitale, già decisa da giorni, viene comunicata
allo scrittore solo quando è già sul patibolo, il 22 dicembre. In una lettera
al fratello, scritta lo stesso giorno, lo scrittore rivela che «ci hanno fatto
baciare la croce, hanno spezzato sopra la testa le spade e ci hanno fatto la
toeletta del condannato (camicie bianche). (…) Mi sei tornato in mente tu,
fratello, e i tuoi cari; nell'ultimo istante tu, soltanto tu, eri nei miei
pensieri, e lì ho capito quanto ti voglio bene, fratello mio caro!».[6] L'avvenimento lo segnerà molto,
come ci testimoniano le riflessioni sulla pena di morte (alla quale Dostoevskij
si dichiarerà fermamente contrario) in Delitto e castigo e ne L'idiota, scritto a Firenze.
Il trauma della mancata fucilazione si assocerà alle prime
ricorrenti crisi di epilessia (una forma
ereditaria di epilessia del
lobo temporale che già lo aveva colpito nel 1839) che segneranno la sua esistenza, e
di questo dramma si troverà traccia in alcuni romanzi, quali L'idiota nella figura del principe Myškin.
«A chi sa di dover morire, gli ultimi
cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel
momento nulla è più penoso del pensiero incessante: "se potessi non
morire, se potessi far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto
questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero,
non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei
nessuno!".» |
Sempre nello stesso romanzo:
«Pensate: c'è la tortura, per esempio;
sono sofferenze e piaghe, è un tormento fisico, e perciò tutte cose che
distraggono l'animo dalle sofferenze morali, sicché non sono altro che le
ferite che tormentano, fino al momento stesso che si muore. Ma forse il
dolore principale, il più forte, non è quello delle ferite; è invece di
sapere con certezza che, ecco, tra un'ora, poi tra dieci minuti, poi tra
mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima volerà via dal corpo, e non sarai più
un uomo, e questo ormai è certo. Chi ha detto che la natura umana è in grado
di sopportare questo senza impazzire? (...) Uccidere chi ha ucciso è, secondo
me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più
spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è
assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino
all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche
con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto
grazia dagli assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua
lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata.
(...) Forse esiste un uomo al quale hanno letto la sentenza, hanno lasciato
il tempo di torturarsi, e poi hanno detto: “Va', sei graziato". Ecco, un
uomo simile forse potrebbe raccontarlo. Di questo strazio e di questo orrore
ha parlato anche Cristo… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né
deve esser lecito applicarla all'uomo.» |
(L'idiota) |
In modo simile Dostoevskij scrive anche
in Delitto e castigo, sempre sulla pena di morte:
«Dove mai ho letto che un condannato a
morte, un'ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato
vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così
stretto da poterci posare soltanto i due piedi – avendo intorno a sé dei
precipizi, l'oceano, la tenebra eterna, un'eterna solitudine e una eterna
tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la
vita, un migliaio d'anni, l'eternità, anche allora avrebbe preferito vivere
che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma
vivere!... Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l'uomo!... Ed è un
vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco.» |
(Delitto e castigo]) |
Ne L'idiota (dove
afferma "che importa se è una malattia?") e nelle lettere egli
descrive anche gli attacchi di epilessia che lo colpirono la prima volta
durante la prigionia, con le relative sensazioni (aura, allucinazioni) come un'esperienza
mistica che gli cambiò la vita:
«È venuto da me, Dio esiste. Ho pianto
e non ricordo niente altro. Voi non potete immaginare la felicità che noi
epilettici proviamo il secondo prima di avere una crisi. Non so quanto possa
durare nella realtà ma tra tutte le gioie che potrei avere nella vita, non
farei mai scambio con questa. » |
Graziato della vita, il 24 dicembre
viene deportato in Siberia, giungendo l'11 gennaio 1850 a Tobol'sk per poi essere rinchiuso il 17
gennaio nella fortezza di Omsk. Dalla drammatica esperienza della
reclusione matura una delle opere più crude e sconvolgenti di
Dostoevskij, Memorie
dalla casa dei morti, in cui varie umanità degradate vengono
descritte come personificazioni delle più turpi abiezioni morali, pur senza che
manchi nell'autore una vena di speranza. Anche i due capitoli dell'epilogo
di Delitto e castigo si svolgono in
una fortezza sul fiume Irtyš, identificabile con Omsk. Per quattro anni il
suo ristretto universo sarà delimitato da un recinto di millecinquecento pali
di quercia, lavorando alabastro, trasportando tegole e spalando neve,
attorniato dalla peggior risma d'individui. «È gente rozza, esasperata e
incattivita. Il loro odio per noi nobili va oltre ogni immaginazione, e perciò
hanno accolto noi nobili con ostilità e un sottile piacere per la nostra
disgrazia. (…) 150 nemici che non si stancavano di perseguitarci, anzi per loro
era un godimento, un divertimento.»
Gli è concesso un solo libro, la
Bibbia ed i soli amici sono un'aquila ferita ed un cane tignoso.
Nel febbraio del 1854 Dostoevskij è
liberato dalla galera per buona condotta, ma la sua salute
resterà irrimediabilmente compromessa. Dovrà scontare il resto della pena, un
paio d'anni, servendo nell'esercito come soldato semplice nel 7º battaglione
siberiano, di stanza nella città di Semipalatinsk vicino al confine
cinese. In questo periodo gli è vietata ogni pubblicazione e gli sono di grande
supporto morale i libri inviatigli clandestinamente dal fratello Michail, tra
cui i romanzi di Dumas e la Critica della
ragion pura di Kant. Nel 1857 sposa
Marija Isaeva, una donna dal carattere vivace, sognatore e impressionabile,
vedova trentatreenne di un alcolista e madre di un bambino di nome Pavel.
Il ritorno nella Russia
europea
Il 18 marzo 1859, congedato
dall'esercito, lo scrittore ottiene il permesso di rientrare nella Russia
europea stabilendosi a Tver', il capoluogo più vicino a San Pietroburgo poiché l'ingresso nella capitale
non gli è ancora concesso. Prepara alacremente insieme al fratello Michail una
riedizione delle sue opere precedenti (escluso Il sosia, che medita
di riscrivere) e lavora alle sue memorie sul bagno penale: queste verranno
terminate fra il 1860 e il 1861 e pubblicate fra
il 1861 e il 1862 con il
titolo Memorie
dalla casa dei morti.
Nel 1861 scrive Umiliati e offesi - che non ebbe
un gran successo, a differenza delle Memorie dalla casa dei morti -
e ripristina i suoi rapporti con l'intelligentia pietroburghese
facendo amicizia con due critici già affermati, Apollon
Aleksandrovič Grigor'ev e Nikolaj Strachov. Insieme al
fratello fonda la rivista Vremja (Il tempo)
che si annuncia come espressione dell'"idea russa", ovvero della
necessità di riavvicinare l'intellighenzia alle sue radici nazional-popolari
(al suo "humus" come usa dire lo scrittore) e si contrappone
apertamente alle correnti occidentaliste e radicali, sostenute, tra gli altri,
da Turgenev. Su questa rivista
Dostoevskij pubblica Memorie dalla casa dei morti e Umiliati
e offesi nel 1861, Un brutto aneddoto nel 1862
e Note invernali su impressioni estive nel 1863.
Il 21 marzo 1864, diretta dai due
fratelli, esce la rivista Epocha, su cui Fëdor pubblicherà le Memorie dal
sottosuolo. Nello stesso anno, il 15 aprile gli muore la prima moglie e, poco dopo,
il 10 luglio il fratello Michail, che gli lascia enormi debiti da pagare.
L'anno successivo compie un viaggio in Europa, dove, cercando di risolvere le
proprie difficoltà economiche, gioca disperatamente alla roulette, col risultato di peggiorare
ulteriormente la sua condizione finanziaria. Cerca di sposare la sua intima
amica Apollinarija Suslova, che però lo rifiuta.
I grandi capolavori
Nel 1866 inizia
la pubblicazione, a puntate, del romanzo Delitto e
castigo. Conosce una giovane e bravissima stenografa, Anna Grigor'evna Snitkina, grazie
alla quale riesce a dare alle stampe, nello stesso anno, Il giocatore, opera
in cui Dostoevskij racconta le disavventure di alcuni personaggi presi dal
vizio della roulette.
Nel 1867 sposa
Anna a San Pietroburgo e parte con lei per un nuovo viaggio in Europa, dove
frequenta i casinò tedeschi, giocando d'azzardo pesantemente e perdendo tutto
il suo denaro. «Anja cara, amica mia, moglie mia, perdonami, non chiamarmi
mascalzone! Ho compiuto un misfatto, ho perso tutto, tutto fino all'ultimo kreuzer, ieri ho ricevuto il denaro e ieri l'ho
perso.» Di passaggio a Firenze,
comincia a scrivere L'idiota.
Nel 1868 nasce
la figlia Sonja, che vive solo tre mesi. Il dramma della morte dei bambini è,
non a caso, uno dei temi trattati nel romanzo L'idiota, portato a
termine lo stesso anno. Nel 1869 nasce
la seconda figlia, Ljubov' (in
russo, "amore", da adulta nota anche come Aimée) e pubblica il
romanzo breve L'eterno
marito.
Nel 1870 lavora
intensamente al romanzo I demoni, con cui l'autore sembra rinnegare definitivamente il
proprio passato di libero pensatore nichilista. L'anno successivo nasce il
terzo figlio, Fëdor, e Dostoevskij rinuncia una volta per tutte al vizio del
gioco e, grazie agli introiti derivatigli dalla pubblicazione dei Demoni,
può tornare a San Pietroburgo e affrontare i suoi creditori. Stringe amicizia
con Konstantin
Pobedonoscev - uno
degli intellettuali più influenti e più conservatori di Russia - che di lì a
qualche anno diventerà procuratore del Santo Sinodo e scomunicherà Lev Tolstoj.
Nello stesso anno Dostoevskij assume la
direzione della rivista conservatrice Graždanin ("Il
cittadino"), dove inizia a pubblicare dal 1873 il Diario di uno
scrittore, una serie di articoli d'attualità nei quali emergerà anche un certo antigiudaismo dell'autore.
Dostoevskij, come dichiarerà nel suo articolo Il problema ebraico (marzo
1877), in risposta a un attacco da parte di un corrispondente ebreo, affermerà
però di non essere un antisemita razziale, e che egli non
odiava «l'ebreo come popolo ma gli ebrei d'alto rango, i Re delle borse, i
padroni delle banche, che influenzavano la politica internazionale; e gli ebrei
usurai, gli sfruttatori delle popolazioni autoctone», citando gli esempi dei
neri d'America e della popolazione lituana. Anche nel
romanzo L’adolescente, scritto in questi
anni, il protagonista si lascia andare a sfoghi antisemiti: «Che immoralità c'è
nel fatto che una massa di zampe ebree, sporche e nocive, questi milioni
finiscano nelle mani di un solitario deciso e ragionevole che volge sul mondo
uno sguardo penetrante?». L'adolescente Arkadij cerca nell'arricchimento la sua
personale via per la libertà dello spirito.[17]
In questi anni stringe amicizia con il
filosofo Vladimir
Solov'ëv. Nel 1875 nasce il figlio
Aleksej, che morirà prematuramente il 16 maggio 1878 in seguito a un
attacco di epilessia, la stessa malattia di cui soffriva il
padre. Sempre nel 1878 è eletto membro dell'Accademia
delle Scienze di Russia nella sezione lingua e
letteratura.
Nel 1879 viene invitato a
partecipare al Congresso letterario internazionale a Londra e in sua assenza, su proposta
di Victor Hugo, eletto membro del Comitato d'onore.
Vive, ormai in condizioni agiate, fra Staraja Russa e
San Pietroburgo. Nello stesso anno gli viene
diagnosticato un enfisema polmonare.
I fratelli Karamazov e
la morte[modifica | modifica wikitesto]
|
Lo stesso argomento
in dettaglio: I fratelli
Karamazov. |
«Ciascuno di fronte a tutti è per
tutti e di tutto colpevole. E non solo a causa della colpa comune, ma
ciascuno, individualmente.» |
(I fratelli Karamazov) |
Nel gennaio del 1879 inizia sulla
rivista «Russkij vestnik» la pubblicazione de I fratelli Karamazov, il suo canto del
cigno, il suo romanzo più voluminoso e forse più ricco di drammaticità e di
profonda moralità. Immediatamente il romanzo fu accolto con enorme favore. La
stesura continuò tuttavia con lunghe pause. A causa del peggiorare delle sue
condizioni di salute nell'estate dello stesso anno si reca a Ems per curarsi.
Durante le celebrazioni in onore
di Puškin nel giugno del 1880, legge un discorso
composto per l'occasione, che viene accolto entusiasticamente dal pubblico e,
nei giorni successivi, dalla stampa. Il numero speciale del Diario di uno
scrittore contenente il discorso vende quindicimila copie.
In autunno termina I fratelli Karamazov, e a dicembre esce in
3000 copie l'edizione in volume. In pochi giorni metà della tiratura è venduta.
Nelle intenzioni dell'autore avrebbe dovuto far seguito un altro romanzo in cui
il minore dei fratelli Karamazov, Alëša, sarebbe cresciuto d'età. Ma per
Dostoevskij diventa sempre più difficoltoso dedicarsi al lavoro intellettuale.
Muore improvvisamente, in seguito a un
repentino aggravarsi del suo enfisema, il 28 gennaio 1881 a San Pietroburgo, nello stesso appartamento dove ora si
trova il museo di San Pietroburgo a lui dedicato. Prima di morire, Dostoevskij
vuole salutare i suoi figli e chiede che la parabola del figliol
prodigo venga letta ai bambini nel loro futuro percorso educativo]. Il significato profondo di
quest'ultima richiesta è così spiegato da Joseph Frank:
«Fu questa parabola di trasgressione,
pentimento e perdono che [Dostoevskij] volle trasmettere come ultimo lascito
ai suoi figli, e ciò può significare una presa di coscienza finale sul
significato ultimo della sua vita e della sua opera.[18]» |
La moglie Anna testimonia di aver consegnato
a Fëdor (che ne aveva fatto richiesta), nello stesso mattino del decesso, il
Vangelo di Tobol'sk che aveva sempre tenuto con sé;
Fëdor lo apre a caso e fa leggere la moglie:
« Ma Giovanni lo
trattenne e disse: io devo essere battezzato da te e non tu da me. Ma Gesù
gli rispose: non trattenermi... » ( Mt 3,14-15, su laparola.net.) |
A queste parole Fëdor commenta:
«Senti Anja, 'non trattenermi' vuol
dire che debbo morire» |
Il 12 febbraio gli vengono tributate
esequie solenni e viene sepolto nel Cimitero Tichvin del Monastero
di Aleksandr Nevskij.
Nel 1884 esce la prima
edizione postuma delle sue opere complete in quattordici volumi.
Fama, contraddizioni e pensiero[modifica | modifica wikitesto]
«Questo Essere c'è, e può
perdonare tutto e tutti e per conto di tutti perché Lui
stesso ha dato il suo sangue innocente per tutti e per tutto.» |
(Alëša a Ivàn in
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov]) |
Le opere che lo hanno reso maggiormente
famoso sono Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, L'idiota, I demoni e I fratelli Karamazov, e viene considerato un esponente dell'esistenzialismo e dello psicologismo. Egli fu un uomo e un
intellettuale spesso contraddittorio. Identificato dapprima come voce della
corrente nichilista-populista, Dostoevskij capeggiò
poi le file degli intellettuali russi più conservatori di fine
Ottocento. Nelle Memorie dalla casa dei morti (1859-1862)
fanno capolino i grandi valori della tolleranza religiosa, della libertà dalle
prigionie materiali e morali, della indulgenza verso i malfattori,
cioè verso coloro che, pur essendosi macchiati di crimini contro la legge, sono
in definitiva solamente persone più sfortunate e più infelici, e quindi più
amate da Dio, che vuole la salvezza del peccatore e non la sua condanna. Tutto
è dunque proiettato verso "la libertà, una nuova vita, la
resurrezione dei morti...".
«Il grado di civilizzazione di una
società si può misurare entrando nelle sue prigioni.» |
(Memorie dalla casa
dei morti'') |
A distanza di vent'anni dalle Memorie,
alcuni di questi aspetti caratterizzanti del pensiero del giovane e progressista Dostoevskij si
rovesceranno completamente nelle riflessioni severe e conservatrici del Diario di uno scrittore (1873-1881),
ossia gli articoli scritti sul Cittadino di intonazione nazionalista e slavofila, e nelle sue pagine
di riflessione, dove attacca gli usurai ebrei, difende la Chiesa ortodossa russa come unico vero cristianesimo
specie in polemica con la dottrina e la gerarchia della Chiesa cattolica (ne L'idiota definisce
il cattolicesimo come
"peggiore dell'ateismo" stesso),
critica Cavour per il modo in
cui ha unito l'Italia (pur
riconoscendogli doti diplomatiche) e prende posizione contro il lassismo giudiziario,
polemizzando contro i progressisti che, dando la colpa di ogni violenza
individuale all'ambiente sociale, chiedevano pene meno severe per gli
assassini. Attacca il darwinismo sociale, il materialismo storico e il nascente superomismo (Thomas Carlyle, che ispirerà Nietzsche) già attaccato
in Delitto e castigo nella figura del protagonista Raskol'nikov,
omicida per un presunto bene superiore, oltre che per l'appunto le sentenze
lievi o assolutorie nei confronti delle violenze famigliari sui bambini.[24] L'autore esorta
a non assolvere il peccato assieme al peccatore, mantenendo pene severe per i
reati gravi, pur dichiarandosi sempre contrario alla pena di morte e pietoso
verso le condizioni carcerarie:
«Giungeremo a poco a poco alla
conclusione che i delitti non esistono affatto, e di tutto ha colpa
l'ambiente. Giungeremo, seguendo il filo del ragionamento, a considerare il
delitto persino come un dovere, come una nobile protesta contro l'ambiente…
insomma …la dottrina dell'ambiente porta l'uomo a una piena
spersonalizzazione, al suo pieno affrancamento da ogni dovere morale
personale, da ogni indipendenza, lo porta alla più schifosa schiavitù immaginabile.» |
(Diario di uno
scrittore]) |
«Ci sono nella vita degli uomini dei
momenti storici, in cui una scelleratezza evidente, sfacciata, volgarissima
può venir considerata nient'altro che grandezza d'animo, nient'altro che
nobile coraggio dell'umanità che si libera dalle catene.» |
(Diario di uno
scrittore[) |
«Pietà quanta se ne vuole, ma non
lodate le cattive azioni: date loro il nome di male.» |
(Dostoevskij inedito.
Quaderni e taccuini 1860-1881) |
Lo scrittore si caratterizza per la sua
abilità nel delineare i caratteri morali dei personaggi che appaiono nei suoi
romanzi, tra i quali spesso figurano i cosiddetti ribelli, che
contrastano con i conservatori dei saldi principi della fede e della tradizione
russa. I suoi romanzi sono definibili "policentrici", proprio perché
spesso non è dato identificare un vero e proprio protagonista, ma si tratta di
identità morali incarnate in figure che si scontrano su una sorta di
palcoscenico dell'anima: l'isolamento e l'aberrazione sociale contro le
ipocrisie delle convenzioni imposte dalla vita comunitaria (Memorie dal sottosuolo), la supposta sanità
mentale contro la malattia (L'idiota), il socialismo
contro lo zarismo (I demoni), la fede contro
l'ateismo (I fratelli Karamazov).
Nelle opere di Dostoevskij, come nella
sua esistenza, la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si
coniuga con una incessante ricerca della verità; egli scrisse: «Nonostante
tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita,
amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni
istante a dar inizio alla mia vita [...] e non riesco tuttora assolutamente a
discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena
sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed
anche, forse, della realtà.».
L'autore, nei suoi romanzi a differenza
che negli articoli e nei saggi, cerca di non lasciar mai trasparire un proprio
giudizio definitivo sui personaggi, non giudicarli direttamente, ed è questa
una sua peculiarità, che ne pose il pensiero in vivace antagonismo con quello
dell'altrettanto contraddittorio Lev Tolstoj. Inoltre, anche Dostoevskij –
proprio come Tolstoj, pur se per vie diverse – visse un confronto continuo
ed al tempo stesso un rapporto tormentoso e quasi personale con la figura
di Cristo, a cui si sentiva
tanto legato da affermare:
«Sono un figlio del secolo del dubbio
e della miscredenza e so che fin nella tomba continuerò ad arrovellarmi se
Dio sia. Eppure se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e
se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo,
ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità » |
In Dostoevskij il "sottosuolo"
dell'anima è qualcosa di spaventoso che coincide con l'assolutezza del male.
Scrive Giuseppe Gallo: "Sul piano dei contenuti, Dostoevskij traccia la
prima implacabile anamnesi della crisi dell'uomo contemporaneo, lacerato da pulsioni
contraddittorie e insanabili, privo di certezze e punti di riferimento solidi
cui uniformare il proprio comportamento morale. A derivarne è una presa di
distanza radicale dal razionalismo illuminista e positivista, alla cui pretesa di
ricondurre le leggi della natura all'ordine della ragione lo scrittore
contrappone la forza della volontà che non ammette limitazioni"
Dalla lettura di romanzi come
quelli libertini del marchese de Sade[30] egli rileva la
propensione al sadismo (Sigmund Freud descriverà il
grande scrittore come un masochista con tendenze minori sadiche, spesso rivolte però contro sé stesso) e
alla sopraffazione del forte sul debole presente nell'umanità (raffigurata poi
in diversi personaggi, come il Principe di Umiliati e Offesi,
Svidrigajlov di Delitto e castigo e Stavrogin de I
demoni, immorali e corrotti, ma destinati poi alla crisi personale e al
suicidio), e si convince che solo la fede cristiana possa attenuarla: «una
volta ripudiato Cristo, l'intelletto umano può giungere a risultati
stupefacenti» poiché «vivere senza Dio è un rompicapo e un
tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se
l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri,
non atei». Ne I fratelli Karamazov uno dei personaggi, il
tormentato Ivàn Karamazov, pronuncia - in un dialogo col fratello Alëša che ha
intrapreso la carriera religiosa - la celebre frase:
«Se Dio non esiste, tutto è permesso.» |
(I fratelli Karamazov, libro V "Pro
e contro") |
Dostoevskij è definito "artista del
caos" perché i suoi personaggi hanno sempre il carattere
dell'eccezionalità e permettono di avanzare in concreto quei problemi
(conflitto tra purezza e peccato, tra abbrutimento e bellezza, tra caos –
appunto – e senso della vita) che la filosofia discute attraverso termini
di puro concetto; sono concetti che Dostoevskij incarna nei personaggi dei
propri romanzi: quindi si comprende perché il grande scrittore russo sia
reputato a tutti gli effetti non solo un autore di letteratura, ma anche un
autore di filosofia contemporanea.
In merito ai suoi personaggi, lo stesso Dostoevskij scrive nel Diario
di uno scrittore: «Non sapete che moltissime persone sono malate appunto
della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità, e
perciò stesso contagiate da una terribile presunzione, da una incosciente
autoammirazione che talvolta arriva addirittura all’infallibilità? […] Questi
uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono
molto malati e debbono curarsi», dando così risposta a chi lo accusava d'essere
interessato a soggetti con manifestazioni morbose della volontà.
Opere[modifica | modifica wikitesto]
Dostoevskij scrisse quattordici romanzi
e venti racconti. Sono qui indicati i titoli italiani più comuni. Per una
bibliografia approfondita delle traduzioni e della critica si veda la
voce Bibliografia su Fëdor Michajlovič
Dostoevskij.
Romanzi[modifica | modifica wikitesto]
Tra parentesi il titolo originale e la
traslitterazione.
· Povera gente (Бедные
люди, Bednye ljudi), 1846.
· Il sosia (Двойник, Dvojnik),
1846.
· Netočka Nezvanova (Неточка Незванова, Netočka
Nezvanova), incompiuto, 1849.
· Il villaggio di
Stepančikovo e i suoi abitanti (Село Степанчиково и его
обитатели, Selo Stepančikovo i ego obitateli), 1858.
· Memorie dalla casa dei morti (Записки из
мёртвого дома, Zapiski iz mërtvogo doma), 1861.
· Umiliati e offesi (Униженные и
оскорблённые, Unižennye i oskorblënnye), 1861.
· Memorie dal sottosuolo (Записки из
подполья, Zapiski iz podpol´ja), 1864.
· Il giocatore (Игрок, Igrok),
1866.
· Delitto e castigo (Преступление и
наказание, Prestuplenie i nakazanie), 1866.
· L'idiota (Идиот, Idiot),
1869.
· L'eterno marito (Вечный
муж, Večnyj muž), 1870.
· I demoni (Бесы, Besy),
1871.
· L'adolescente (Подросток, Podrostok),
1875.
· I fratelli Karamazov (Братья Карамазовы, Brat´ja
Karamazovy), 1878-1880.
Racconti[modifica | modifica wikitesto]
· Romanzo in nove
lettere (Роман в девяти письмах, Roman v devjati pis'mach), 1845.
· Il signor Procharčin (Господи Прохарчин, Gospodin
Procharčin), 1846.
· La padrona (Хозяйка, Chozjajka),
1847.
· Polzunkov (Ползунков, Polzunkov),
1848.
· Un cuore debole (Слабое
сердце, Slaboe serdce), 1848.
· La moglie altrui e il
marito sotto il letto (Чужая жена и муж под
кроватью, Čužaja žena i muž pod krovat'ju), 1848.
· Il ladro onesto (Честный
вор, Čestnyj vor), 1848.
· L'albero di Natale e
il matrimonio (Ёлка и свадьба, Ёlka i svad'ba),
1848.
· Le notti bianche (Белые
ночи, Belye Noči), 1848.
· Un piccolo eroe (Маленький
герой, Malen'kij geroj), 1849.
· Il sogno dello zio (Дядюшкин сон, Djadjuškin
son), 1859.
· Una brutta storia (Скверный
анекдот, Skvernyj anekdot), 1862.
· Il coccodrillo (Крокодил, Krokodil),
1865.
· Bobok (Бобок, Bobok),
1873.
· Il bambino "con
la manina". Il bambino sull'albero di Natale da
Gesù (Мальчик у Христа на ёлке, Mal'čik u Christa na ëlke),
1876.
· Il contadino Marej (Мужик
Марей, Mužik Marej), 1876.
· La mite (Кроткая, Krotkaja),
1876.
· Il sogno di un uomo ridicolo (Сон смешного
человека, Son smešnogo čeloveka), 1877.
· Vlas (Влас, Vlas),
1877.
· Piccoli quadretti (Mаленькие картины, Malen'kie
kartiny), 1877.
Raccolte di saggi[modifica | modifica wikitesto]
· Note invernali su impressioni estive (Зимние заметки
о летних впечатлениях, Zimnie zametki o letnich vpečatlenijach),
1863.
· Diario di uno scrittore (Дневник
писателя, Dnevnik pisatelja), 1873
Filmografia[modifica | modifica wikitesto]
I romanzi di Dostoevskij, e la sua
stessa vita, sono stati rappresentati diverse volte in opere cinematografiche o
televisive. Di notevole interesse è L'idiota di Akira Kurosawa, e sebbene la critica lo definisca "uno dei
più grandi film mancati nella storia del cinema",[31] altrettanto
unanimemente lo considera il miglior film dostoevskiano mai realizzato. Di
particolare interesse sono anche Quattro notti di un sognatore di Robert Bresson, ispirato a Le notti bianche, e 40.000 dollari per non morire di Karel Reisz, liberamente ispirato
a Il giocatore. Anche il cinema
indiano di Bollywood ne ha tratto
ispirazione con Saawariya -
La voce del destino.
Quella che segue è una filmografia
parziale dei film ispirati all'opera di Dostoevskij.
·
1920 - Il principe idiota, di Eugenio Perego - da L'idiota
·
1931 - Il delitto Karamazov (Der Mörder Dimitri Karamasoff),
di Erich Engels e Fyodor Otsep
·
1934 - Le notti bianche di San Pietroburgo, o La tragedia di Egor, di Grigorij L'vovič Rošal' e Vera Stroeva - da Le
notti bianche
·
1935 - Delitto e castigo (Crime et châtiment), di Pierre Chenal
·
1935 - Ho ucciso! (Crime and
Punishment), di Josef von Sternberg - da Delitto e castigo
·
1946 - L'idiota (L'idiot), di Georges Lampin
·
1946 - Nathalie (L'homme au chapeau rond), di Pierre Billon - da L'eterno
marito
·
1947 - I fratelli Karamazoff, di Giacomo Gentilomo
·
1951 - L'idiota (Hakuchi), di Akira Kurosawa
·
1951 - Delitto e castigo (Crimen y castigo), di Fernando de Fuentes
·
1956 - La febbre del delitto, o I peccatori guardano il cielo (Crime et
châtiment), di Georges Lampin - da Delitto
e castigo
·
1957 - Le notti bianche, di Luchino Visconti
· 1958 - Karamazov (The
Brothers Karamazov), di Richard Brooks
·
1958 - Il giocatore (Le joueur), di Claude Autant-Lara
·
1959 - L'idiota, miniserie di Giacomo Vaccari
·
1963 - Delitto e castigo [miniserie], di Anton Giulio Majano
·
1965 - Il giocatore [miniserie], di Edmo Fenoglio
·
1968 - Il sosia (Partner), di Bernardo Bertolucci
·
1969 - I fratelli Karamazov (sceneggiato televisivo), di Sandro Bolchi
·
1969 - I fratelli Karamazov (Bratja
Karamazovy), di Kirill Lavrov e Ivan Pyrev
·
1969 - Così bella così dolce (Une femme douce), di Robert Bresson - Da La
mite
·
1971 - I demoni (miniserie), di Sandro Bolchi
·
1971 - Quattro notti di un sognatore (Quatre nuits
d'un rêveur), di Robert Bresson - da Le
notti bianche
·
1974 - 40.000 dollari per non morire (The Gambler),
di Karel Reisz - da Il
giocatore.
·
1983 - Delitto e castigo (Rikos ja rangaistus), di Aki Kaurismäki
·
1984 - Il contemporaneo (Aikalainen), di Timo Linnasalo - da Memorie
dal sottosuolo
·
1985 - Amore balordo (L'amour braque), di Andrzej Żuławski - da "L'Idiota"
·
1988 - Dostoevskij - I demoni (Les possédés), di Andrzej Wajda
·
1990 - La vendetta di una donna (La vengeance d'une femme), di Jacques Doillon - da La
mite
·
1991 - Umiliati e offesi (Unižennye i oskorblënnye), di Andrei Eshpaj
·
1999 - Il ritorno dell'idiota (Návrat idiota), di Sasa
Gedeon
·
2007 - Saawariya -
La voce del destino, di Sanjay Leela Bhansali - da Le notti bianche
·
2013 - The Double, di Richard Aoyade
Film biografici[modifica | modifica wikitesto]
·
1949 - Il grande peccatore (The Great Sinner),
di Robert Siodmak, con Gregory Peck nel ruolo di
Dostoevskij
·
2008 - I Demoni di San Pietroburgo (I Demoni di
San Pietroburgo), di Giuliano Montaldo
·
Musica[modifica | modifica wikitesto]
· Dostoevskij è citato
(erroneamente, come Michele Dostojewskij) nel testo della
canzone Il siero di Strokomogoloff, scritto da Leo Chiosso su musica
di Fred Buscaglione, portata al successo
in Italia dallo stesso
Buscaglione alla fine degli anni cinquanta.
· Giocando
sull'assonanza con Strokomogoloff, Chiosso usò come testimonial del
siero diversi personaggi russi sufficientemente noti al pubblico italiano dell'epoca:
oltre a Dostoevskij, Michele Strogoff, Nikolaj Rimskij-Korsakov, Serge Voronoff. Il brano elenca scherzosamente
le molteplici proprietà di una pozione portentosa in grado di risolvere non
solo i problemi di salute e i difetti estetici, ma anche i guai d'amore e la
mancanza d'ispirazione degli artisti: sarebbe stata una massiccia assunzione di
siero ad aver stimolato il romanziere a scrivere I fratelli Karamazov. Dostoevskij è anche il titolo di una
canzone del cantautore Massimo Bubola.
· Forse la più
importante traduzione musicale è Da una casa di morti di Leoš Janáček (1854-1928),
dalle Memorie da una casa di morti di Fëdor Dostoevskij del
1928.
· Seguirono Heinrich Sutermeister, compositore svizzero, con Raskolnikov,
tratto da Delitto e Castigo nel 1948, e Luciano Chailly, compositore
ferrarese, con L'idiota, opera in tre atti su libretto di Gilberto
Loverso, eseguita nel 1970 al Teatro dell'Opera di Roma.
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