Travolto dal demenziale impulso di “mettere ordine” in
occasione del nuovo anno, affronto uno dei passaggi più frustranti e pericolosi
per un essere umano: i conti in banca. Può accadere a chi cambi residenza nel
corso della vita, di aprire conti in varie località e di commentare l’errore
fatale della cosiddetta domiciliazione delle bollette e dei pagamenti. Non è
questione di ricchezza, perché i veri ricchi hanno squadre di contabili e
portaborse che ne curano gli affari, e non credo che qualcuno possa dire di
avere visto Giovanni Agnelli in fila davanti al cassiere di una filiale, con
una bracciata di fatture per saldare le bollette di casa sua. È invece
questione di pigrizia. Si crede di aver chiuso un conto, quel piccolo conto che
serviva per un abbonamento e per il parchimetro via telefonino, e si scopre che
è rimasto misteriosamente aperto ed è ormai in passivo, perché le spese e per
“varie”, continuano a correre e l’hanno mandato in rosso. Il pulsante “paga” è
spesso bello e invitante. Il comando per sospendere i pagamenti è sapientemente
nascosto in una boscaglia di minuscoli caratteri, sprofondato in un rottamaio
di collegamenti inutili, coronato dalla più irritante e insolente delle
offerte, il “contattaci”. Poniamo di avere aggirato quelle indicazioni
prodigiosamente inutili chiamate Faq, Frequendy Asked Questions, le domande più
frequenti tra le quali non c’è mai quella che noi vorremmo porre. A quel punto,
i tentativi di “contattare” producono colloqui con robot che offrono dieci
opzioni, in inglese o in spagnolo qui in Usa, per parlare con un altro robot
che propone altre dieci opzioni e poi altre dieci. È una moltiplicazione che
alla fine conduce a una suadente voce femminile (sempre femminile, per sedare
l’aggressività del chiamante) che spiega come il servizio sia disponibile nelle
ore nelle quali tu non ci sei. Ogni conto in banca è un fungo che nasconde il
micelio, un reticolato che richiede tempo, pazienza e nervi di ferro per essere
estirpato. Divorziare online da una Banca è di fatto impossibile. Il divorzio
richiede la persona fisica, il contatto con un bancario che, con aria prima
minacciosa e poi disperata, tenterà di dissuadermi dall’insano proposito. Carte
dovranno essere firmate. Documenti fotocopiati. Timbri apposti. Direttori
consultai. Lettere dovranno essere faxate, soprattutto in Italia, dove la lobby
dei fax, quasi estinta altrove, deve essere ancora potentissima, perché impone
l’uso di queste creature che emettono fischi, gemiti, ruttini e stridii prima
di arrendersi. Anche quando il conto sembrerà chiuso, i tentacoli dell’Iban,
quel treno di cifre inventato da un sadico, cercheranno di raggiungerti e
toccarti, per evitare che, Do ne guardi, i 53 centesimi di residuo sfuggiti al
conteggio finale debbano essere inghiottiti dalla banca, che magari ha miliardi
di spazzatura e di soldi pubblici nella pancia. Da un anno ho chiuso un conto
con un grande istituto, e ancora mi manda lettere minacciose per ricordarmi che
ho una linea di credito aperta, perché il computer, o chi lo programma, è
troppo stupido per leggere il saldo, che lui stesso calcola a 0,00. Se tento di
pagare, il cyberidiota mi respinge, facendomi osservare che è impossibile
versare 0,00. Per dieci mesi una delle Big americane mi ha fatto pagare 31
dollari e 15 centesimi di interessi ogni mese su un mutuo estinto come un
tirannosauro. Al momento di chiudere i conti si è accorta dell’errore. Judy
Premi l’1 mi ha passato a Lauren Premi il 5 che mi ha confermato, dopo un
consulto con Mary Premi il 3, che quei soldi mi verranno restituiti e versati
sul conto. Ma il conto non c’è più, e i soldi non possono essere depositati.
Premo lo 0 e mi risponde il silenzio.
Vittorio
Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 10 febbraio 2018 -
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