Le Recenti Affermazioni di donne dello spettacolo inerenti molestie sessuali subite, stimola
alcune riflessioni. Che l’uso del potere cada facilmente nell’abuso, è storia:
che le donne possano essere spesso vittime di questo meccanismo, pure.
L’evoluzione della specie dovrebbe però aver dotato noi umani, femmine e
maschi, della capacità di mettere in accordo il libero arbitrio con la
consapevolezza di un necessario controllo degli impulsi. La considerazione che
e deriva p che un buon equilibrio del sé permette in genere di avere padronanza
delle proprie azioni. Nell’esplosione mediatica dei fatti succitati,
evidenziare donne adulte solo come vittime di un predatorio e incontrollato
genitalismo maschile rischia di apparire mistificatorio e scarsamente
significativo della violenza insita in questi atti, non fosse che per il
subdolo e spesso sotteso dubbio che ove vi possano essere convenienze, si tenda
a essere più consenzienti. Temo che l’ondata di condanna che si è levata dai
social cederà il passo alla dimenticanza, se non si assocerà a un credibile e
duraturo convincimento personale e socio-culturale del rispetto di sé e degli
altri come necessità inderogabile di coesistenza. Strada lunga e faticosa, ma
da percorrere, perché la dimenticanza riporterebbe sul palcoscenico, in ogni
campo, nuovi e vecchi “Weinstein”, più o meno mascherati e rigenerati. Mi
conceda una sua opinione di saggio uomo sempre attento agli aspetti della vita. P.Z. pzuppi56@gmail.com
La Sua Lettera coglie
perfettamente il problema e la relativa soluzione là dove lei scrive che questa
sarà raggiunta solo quando si sarà pervenuti a “un credibile e duraturi
convincimento personale e socio-culturale del rispetto di sé e degli altri come
necessità inderogabile di coesistenza”. Sa che cos’è necessario per pervenire a
questa meta? Percepire le persone come oggetti e non come oggetti di fugaci
gratificazioni sessuali. Questo vale sia per gli uomini nei confronti delle
donne come è ovvio, ma anche per le donne che, qualora acconsentano, non
possono evitare di considerare che si stanno offrendo come oggetto, e per
giunta non a un uomo, ma al suo desiderio sessuale. Che poi questa offerta
paghi in carriera ho i miei dubbi, perché il desiderio è sempre promosso dalla
mancanza, mai dal possesso. Nella relazione sessuale bisogna sempre prestare
attenzione con chi o con che cosa si entra in relazione. Nel caso del potere,
in relazione non entra il soggetto, che al contrario ne rimane del tutto fuori,
ma unicamente un suo aspetto, la fascinazione di chi può, e che chi la detiene
tende a usare per ottenere gratificazioni sessuali. Lo stesso accade nel caso
del narcisista, che all’altro non offre mai sé, ma solo il suo spettacolo che
affascina e irretisce anche per anni chi non riesce a chiudere il sipario e
uscire dal teatro. In entrambi i casi nella relazione sessuale che dovesse
instaurarsi non si incontrano due soggetti, ma solo aspetti (il potere, lo
spettacolo narcisista, il corpo) si due personalità che, anche nell’amplesso
più coinvolgente, restano estranei e sconosciuti. Ma a questo punto il
godimento dov’è? E soprattutto chi ne fruisce al di là della superficie
espressa dall’opacità della carne? Chi usa il potere per ottenere sesso, ma
questo vale anche per quella moltitudine di uomini che usano il denaro per
ottenere sesso dalle vittime della prostituzione, sa di ottenere gratificazioni
sessuali non per quel che è, ma per il potere o per il denaro di cu dispone. E
non è umiliante il saperlo? E ancora: il fatto che uno lo sa non gli spegne la
libido? Perché se questo non avviene, allora simili soggetti sono ormai ridotti
a livello animale dove ciò che conta è solo la potenza: fisica nel caso degli
animali, sociale nel caso degli umani. E a una personalità tutta assorbita
nella potenza non resta che verificare compulsivamente che questa potenza
esiste e dà quotidianamente conferma di sé. E in questi soggetti non fa mai la
sua comparsa un abissale senso di solitudine, in cui poter toccare con mano che
chi si rapporta a loro, non li intercetta, non li vede, perché la partita è
giocata su un altro tavolo, dove i soggetti non incrociano neanche uno sguardo
tra loro, perché le carte le distribuisce il potere, il denaro il successo? E
allora quel che c’è da fare è educare fin da piccoli, bambini e bambine,
all’autostima, prima in famiglia e poi a scuola, evitando di demotivare i
ragazzi e di sfiduciarli come troppo spesso accade, perché quando uno a perso
la stima di sé, perché non concedersi a tutte le occasioni che si dovessero
presentare per avere successo, calpestando gli altri o offrendosi senza dignità
agli altri, pur di compensare con l’autoaffermazione che il successo
garantisce, quella profonda distima di sé che in fondo all’anima li rode.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 10
febbraio 2018 -
Nessun commento:
Posta un commento