Fermi In Un’Area di parcheggio lungo l’autostrada 95 che
mi porta da New York a Washington, lei e io cerchiamo di parlarci, di capirci e
di non litigare più. Ci siamo incontrati e conosciuti da poco, e tutto odora di
fresco e di nuovo, lei tutta carina e tirata a lucido e io un po' intimidito ed
emozionato. Ma dopo l’entusiasmo iniziale, già abbiamo smesso di capirci. Lei,
che sembrava sottomessa e servizievole, si sta rivelando prepotente e
dispettosa. Io sono impaziente, ruvido presuntuoso nella convinzione di poterle
far fare quello che voglio io. Ero sicuro che l’avrei capita subito, e ora sto
scoprendo di essermi sopravvalutato e di averla sottovalutata. Forse è il suo
lontano da nazista, visto che la sua bisnonna era un’idea di Hitler, o è semplicemente
il fatto di essere tedesca, dunque tendenzialmente testarda. Se trovassi
un’anagrafe la farei iscrivere con il nome di Brunilde, l’eroina dei
Nibelunghi, ma nemmeno a New York, dove pure sono molto tolleranti con gli
stranieri, troverei un prete o un impiegato comunale disposto a battezzare o
registrare allo Stato Civile un’automobile. Sbagliando, perché quella creatura
di metallo e plastica ormai ha acquisito un cervello e di conseguenza,
sospetto, anche un’anima. Brunilde, piccola auto nata in Germania, pensa di
essere più intelligente di me e probabilmente lo è. Vuole tenermi rigorosamente
fra le righe bianche dell’autostrada, e il volante impedisce, con una spinta
opposta, i miei tentativi di cambiare corsia: Osserva tutto quello che mi
circonda con i suoi occhietti elettronici, inviando segnali video e audio sullo
schermo nel cruscotto e negli specchietti esterni per avvertirmi. Se mi
avvicino troppo al sedere di un’altra, mi diventa gelosa e frena. Se faccio
piedino troppo vigorosamente all’acceleratore, s’inviperisce e mi scatena sullo
schermo una batteria di indicatori per rimproverarmi di consumare troppo, come
fa mia moglie se voglio una seconda porzione di rigatoni. Si parcheggia da
sola, tano per smentire il solito luogo comune sulle donne che non lo sanno
fare, e attraverso il display del navigatore mi segnala i miei tragitti per
ricordare dove va, che percorso segue, consigliarmene uno per lei migliore e
dirmi quale velocità è consentita. È quello che avrebbe voluto fare mia madre,
quando uscivo le prime volte alla guida, ed è quello che vorrebbe sapere mia
moglie per appurare se davvero io vada dove dico di andare. Brunilde ricorda
tutto. Dalla vecchia targhetta magnetica con la foto dei bambini e “Non correre
pensa a noi” i ruoli si sono invertiti: ora è l’auto che pensa a te. Il teorico
padrone al volante è sempre più un passeggero, un pezzo di bagaglio, un
pericolo, secondo l’antica barzelletta dell’astronauta in volo accanto a una
scimmia che, nel panico per un guasto, riceve dalla base l’ordine perentorio di
non toccare niente e di lasciar fare alla scimmia. Lei sta imparando tutto di
me e io ben poco di lei, come in tutti i matrimoni. Dovrei studiarmi con cura
quell’enorme volume di istruzioni che nessun vero maschio legge mai, anche
perché scritto da autori decisi a renderlo incomprensibile, o guardare in Rete
ore e ore di istruzioni video. Con lei, io – dinosauro del cambio manuale,
delle mappe stradali, della frizione bruciata – sono entrato nella nuova era
del Movimento di liberazione delle automobili, non più serve, ma padrone. Mi
arrendo. Va bene, Brunilde, andiamo, portami a casa, le chiedo, perché risponde
naturalmente anche alla voce (per ora). Guizzano segnali blu e rossi sul
display, partiamo e ho l’impressione, ma forse mi sbaglio, che sorrida
soddisfatta.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 3
Febbraio 2018 -
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