IL Kintsugi, Letteralmente “riparare con l’oro”, è una tecnica giapponese
che consiste nell’utilizzo di oro o argento liquidi per la riparazione di
oggetti in ceramica. Ogni oggetto presenterà così un diverso intreccio di linee
dorate, unico e ovviamente irripetibile per via della casualità con cui la
ceramica può trasformarsi. Fratture, ferite, cicatrici contengono storie,
impreziosiscono la nostra trama, aggiungono densità e consistenza. Troppe volte
la malattia e la sofferenza sono relegate ai margini delle nostre vite,
pudicamente nascoste, pavidamente rimosse. Spesso, invece chi combatte dovrebbe
essere messo al centro e ascoltato, non solo perché la società deve accogliere
e non relegare, ma anche perché chi conosce il dolore può insegnarci lo sguardo
lucido e mostraci la bellezza dei fili dorati. Nel settembre del 2010
Mariateresa scoprì di avere un tumore. “Melanoma metastatico, è molto grave
signora”, le comunicarono i medici. “Di cosa, di quanto stiamo parlando?”
domandò lei. “È difficile dirlo”, “Ma mi accenni qualcosa…anni?”. “Non saprei”.
“Mesi? Natale?”. “Non ne siamo sicuri, inizi a parlare con la bambina”. Aveva
tre mesi davanti a sé, le dissero, e una bambina di due anni, ignara della
vita, a cui avrebbe dovuto spiegare la morte. Kintsugi è il blog di Mariateresa che nel 2016, a sei anni da
quella diagnosi, dopo interventi, metastasi, esami, terapie, decise di
condividere quel cammino impervio e faticoso. “Faccio radioterapia tutti i
giorni, testa e collo. Chemio, immunoterapia ogni due o tre settimane.
Cortisone, tutti i giorni. Prelievi una volta o due alla settimana. Tac e
risonanze e per quando servono. Medicazioni e visite. Mi lascio portare”.
Mariateresa racconta scegliendo con cura le parole, ci conduce in sala
operatoria, nei colloqui con gli specialisti, nella sua paura che è anche la
nostra. Insiste sull’importanza della prevenzione. Descrive magistralmente i
pensieri limpidi, gli incubi, l’implacabile consapevolezza. Ha un pudore
candido nei confronti di chi le sta vicino, una grazia lieve nella gratitudine
verso i medici, gli amici, gli affetti, un’ironia sottile, una dignità
composta. “Com’è difficile conciliare questo orrore con le, scrive Mariateresa,
parlando della figlia. Quando la malattia concede una tregua, si ritaglia
squarci di felicità: una fuga fuoriporta, la presentazione di un libro, il
mare, un concerto, una sagra, la preparazione di una torta. Niente viene dato
per scontato. Perché Kintsugi è prima
di tutto un inno alla vita, una celebrazione di piccole e grandi meraviglie. È
un invito ad approfittare del privilegio che ci viene concesso. È un monito a
guardare l’essenza delle cose. Mariateresa ha raccolto intorno a sé una
comunità numerosa di lettori, amici, tifosi, perché le sue parole sono perle.
“La libertà, la linea portante della mia vita, me la sono dimenticata. Riesco a
esercitarla solo quando penso, o quando decido di sentirmi bene nonostante
tutto, perché, visto che questa merda non l’ho scelta, l’unica cosa che posso
scegliere è il modo in cui affrontarla”. “Cosa posso fare per te amore mio?
Soltanto vivere il più possibile, curarmi e mettercela tutta. Ma
contemporaneamente stare in equilibrio sul filo delle decisioni non
autorizzate, solo perché sento che è meglio, che va bene così. Per esempio –
zitti, shhhh, nessuno lo deve sapere – ho ricominciato a guidare. Che sollievo,
che sensazione di libertà, che gioia non dovere chiedere sempre, che bello
andare insieme a scegliere le tue scarpe nuove. Questa sarebbe dovuta essere
una chiacchierata con Mariateresa. Non c’è stato il tempo. Ci restano Kintsugi e il ricordo di una grande
donna a cui tutti dovremmo cercare di somigliare, almeno un po'.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica - 27
gennaio 2018 -
Nessun commento:
Posta un commento