Ho sedici anni e frequento la quarta liceo classico. La mia domanda è: perché ispirarci
a qualcun altro, perché mettere sul piedestallo vincitori che non siamo noi e
consegnare medaglie a chi non ha la nostra stessa storia? Credo profondamente
che tutti noi siamo artefici vittoriosi delle azioni che legano gli snodi
principali della nostra vita. Noi siamo gli eroi del nostro mondo interiore,
gli idoli dei nostri desideri e dei nostri sogni. Non abbiamo bisogno di canoni
a cui ispirarci, perché il modello siamo noi come progetto finale.
Collezioniamo sentimenti, vittorie talvolta sconfitte, dolori; riempiamo le
nostre bacheche di obiettivi, credendo che un giorno potranno trasformarsi in
trofei. Ma i nostri idoli siamo già noi. Toccando le nostre corde, riusciamo a
intrecciare insieme le persone che vogliamo diventare. E proprio per questo,
mai potremmo diventare qualcun altro. Noi vogliamo rimanere ciò che siamo.
Quante volte abbiamo combattuto per un sì in più e quante altre abbiamo dato
inizio a guerre per le troppe restrizioni? Quante volte abbiamo costruito
fortini e torri al solo scopo di preservare la nostra porzione di libertà? Ogni
giorno le sfide cambiano, ma non ci sono il grande Superman o le lunghe tele di
ragno di Spiderman a semplificarci le battaglie. Noi non finiremo sui giornali,
probabilmente non ci premieranno e non andremo in televisione, otterremo però
le nostre vittorie, saliremo sul podio e sulla parete appenderemo la nostra
foto. L’eroe, il vero eroe, è il nostro io interiore, e fondamentale è saperlo
gestire, mostrandogli come lavorare e volendogli bene. Non c’è infatti vittoria
migliore di quella interiore, non esiste eroe più unico di noi.
C’è un eroismo che non è fatto di gesti, di imprese
audaci, di vittorie. È un eroismo più nascosto, più segreto, più perseverante.
È quello dei giovani che cercano se stessi, che tentano di capire chi sono: E
lo fanno scrutando i loro sogni senza lasciarli dileguare come nuvole in cielo,
inseguendo i loro desideri senza risparmiarsi un bagno di realtà, in modo che
l’oggetto del desiderio diventi praticabile e si traduca in un obiettivo che
può essere raggiunto. È un lavoro costante, alieno dal clamore, ma anche
appassionante, perché si tratta di lavorare per sé senza lasciarsi deprimere
dalle sconfitte, perché si è consapevoli di potersi riprendere senza lasciarsi
esaltare dai successi che si riconoscono come tappe di un ulteriore succedere.
E quel che succede è l’accadere della vita, della propria vita, che si snoda
ogni giorno come una sorpresa, dove nulla è scontato e dove nulla si ripete,
perché qualcosa di nuovo che luccica, e, se il nostro sguardo non è offuscato,
quel luccichio attrae, incuriosisce, trascina e, come una briciola di novità,
si inanella con quanto già conosciamo della nostra personalità, sempre incline
a lasciarsi sedurre dal cambiamento, perché sa che una vita immobile e
solidificata è già una costellazione della morte. Di questo sono capaci giovani
che non hanno rifiutato se stesso e il mondo in cui sono capitati a vivere, che
non si sono abbandonati alla rassegnazione e neppure si sono fatti sommergere
dalla noia, che si sono difesi dal rumore del mondo che allontana da sé per
inseguire modelli che non appartengono alla propria natura, figure eroiche che
sono tali solo nella finzione. Di questo sono capaci i giovani sospinti nel
loro cammino dalla forza della giovinezza che ancora non ha rinunciato alla
purezza degli ideali, non per ingenuità, ma perché la passione non si è ancora
spenta, e ancora guarda ai sogni della propria esistenza che, dopo un confronto
con la realtà, sono divenuti obiettivi che attendono di essere riconosciuti dal
mondo adulto, spesso troppo distratto nella considerazione del mondo giovanile
e nell’individuazione dei valori che quel mondo proclamato, difende e, se non
gli si spezzano le ali, è in grado di realizzare. A chi chiedeva all’oracolo di
Delfi quale fosse la via da percorrere per raggiungere la felicità, l’oracolo
rispondeva: “Conosci te stesso” e dopo che hai conosciuto il “demone” che anima
la tua vita e accende la tua passione, se hai la capacità di non oltrepassare
la tua misura, raggiungerai l’eudaimonia,
la buona realizzazione del duo demone, in cui per i Greci consiste la felicità.
Dopo aver conosciuto l’espansività tipica della giovinezza che osa anche la
temerarietà e detesta la ripetizione, sospinti dalla passione che, come diceva
Stendhal: non è cieca, ma visionaria”, luce degli ideali. Dopo aver varcato
tanti confini sospinti dalla voglia di scoprire, i giovani che si fanno eroi di
se stessi giungono a quella rivelazione di sé a sé a cui si perviene, come
scrive Yeats: “scrutando dentro il proprio cuore, perché è lì che sta crescendo
l’albero sacro”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Opinioni – Donna di La Repubblica
-27 gennaio 2018 -
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