La Notizia Fa Sognare, nel caso che riporta in un passato
così lontano da sembrare irreale come un sogno. L’aeroporto di Pittsburgh,
Pennsylvania, fa un esperimento: consentirà a parenti e amici dei passeggeri di
accompagnarli fino all’imbarco. Che nostalgia. Mi ricorda l’epoca in cui
cominciai a volare. Non aveva vent’anni. Salire sugli aerei era come prendere
un bus, arrivavi all’ultimo, e se qualcuno voleva salutarti poteva arrivare
quasi fino alla scaletta dell’aereo. Un mondo magico dove tante cose erano più
semplici, una vita pre-terrorismo, sembra preistorica ed era appena
quarant’anni fa. Oggi Pittsburgh può permettersi quest’audacia solo perché è
una città depressa, tante fabbriche hanno chiuso, il suo aeroporto è poco
attivo: fa un tentativo per rianimarlo, tornando indietro nel tempo. Innocenza
perduta. In mezzo c’è stata l’escalation del terrorismo, l’11 settembre, e non
credo che altri aeroporti potranno imitare l’esempio di Pittsburgh. Ma era
inevitabile sprecare tanta parte della nostra vita a inseguire una illusoria
sicurezza, le ore perdute nelle file davanti ai metal detector? Oggi alcuni
controlli li abbiamo estesi qui in America – agli ingressi dei musei o dei
concerti: in certe città europee come Parigi e Londra sono ancora più invasivi
visto che i terroristi si adattano cambiando luoghi, tattiche e bersagli.
L’evoluzione sembra a senso unico: più controlli, più disagi, più tempo di vita
sacrificato. È l’unico modo per proteggerci? È un prezzo a cui non potevamo
sottrarci? Ogni tanto mi pongo delle domande scomode. Le risposte rischiamo di
essere ancora più imbarazzanti. Davvero all’aeroporto l’anziana signora sulla
sedia a rotelle deve essere sottoposta agli stessi controlli di un ventenne con
il passaporto tunisino? I controlli mirati, ad personam, gli israeliani li
hanno sempre fatti ma in Occidente non sono politically correct.
Discriminazione etnico-religiosa. Neppure Bush o Trump hanno osato, quindi sto
scrivendo un’eresia…E dunque per non demonizzare una minoranza (la quale
peraltro non esita affatto a demonizzare noi abbiamo complicato enormemente la
vita alla maggioranza. Inevitabile, se non vogliamo sacrificare valori
fondamentali, principi del nostro Stato di diritto? Però, però. Applico lo
stesso ragionamento ad absundum a un
tema completamente diverso, dove so di trovare più comprensione a sinistra.
Mentre scrivo sono tornato di recente da Las Vegas, dopo la sparatoria-strage
più mostruosa della storia americana. Sotto accusa, ovviamente, è la diffusione
delle armi in questo paese e la felicità di comprarle. Ma spesso non si
studiano i numeri, si descrive un Far West che non esiste. Qui negli Stati
Uniti di armi ce ne sono troppe (265 milioni!), ma sono molto più concentrate
di quanto si creda: solo un quinto degli americani ne possiede. E metà di quelle
armi sono in mano a una minuscola minoranza, il 3% della popolazione sono i
veri “collezionisti” di arsenali (17 armi a testa in media). Di nuovo, quando
si invoca un diritto costituzionale a essere armati per l’autodifesa, in realtà
si parla dello strapotere di una minoranza che prevarica sui diritti di tutti
gli altri. Anche questo però è un tabù. Così come la responsabilità civile e
penale dei produttori di armi. Pensate, basterebbe un solo processo con
condanna a risarcimenti miliardari, sul tipo di quello contro la Philip Morris
per i danni del tabacco alla salute, e vedremmo di colpo un atteggiamento
diverso dai fabbricanti di fucili e pistole. Sono anche loro una minuscola
minoranza. Approfittano del fatto che la maggioranza è rassegnata, passiva, non
si organizza. Ma è così che si suicidano le democrazie: scivolando lentamente
verso la convinzione che noi non contiamo nulla che le maggioranze devono
sempre subire e pagare per pochi, che le domande scomode le dobbiamo ingoiare
in silenzio.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 21
ottobre 2017 -
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