Ho Tre Figli maschi e un marito, anche lui
maschio. Abito in un ambiente saturo di testosterone e quotidianamente mi
confronto con le differenze di genere e spesso ci sbatto contro. Ho tuttavia,
con il tempo, imparato a conoscerli e ad apprezzarli, i maschi, che
sperabilmente non rstano tali ma evolvono in uomini per bene. Mi hanno
insegnato, l’alfabeto ruvido della loro tenerezza, un pensiero lineare che si
declina in superficialità o in limpidezza, a seconda dei giorni, una fisicità
energica, ipercinetica, estenuante, un’attenzione sana seppur primitiva alla
sostanza delle cose. La mia vita è diversa da come me l’ero immaginata da
piccola ma oggi ci sto comoda. Talvolta mi domando come sarebbe avere una
ragazzina, insegnarle a sognarsi onnipotente, incoraggiarla a essere solo se
stessa, educarla alla leggerezza e alla tenacia. E improvvisamente inciampo
nella inevitabile responsabilità delle madri di essere un modello per le
figlie, un compito enorme, complesso e sublime a cui è impossibile sottrarsi e
nel contempo essere all’altezza. “Ogni donna che abbia voluto fare qualcosa
della propria vita, che non fosse già stabilito in partenza, ha sempre avuto a
portata del cuore e della memoria un’altra donna, che sia stata una vecchia
nonna irriducibile e solitaria, o una madre superiora coraggiosa, p una maestra
di particolare ardimento intellettuale, o anche una made adultera e ribelle,
insomma qualcuno che l’ha incoraggiata, senza neanche saperlo, e le ha
comunicato fiducia, scriveva Dacia Maraini nel 1987. Perché le parole sono
utili nell’educare e nel crescere, ma gli esempi sono necessari e vitali nel
formare la nostra identità. Ci nutriamo di teoria, ma soprattutto di modelli a
cui tendere. A volte li dimentichiamo, li diamo per scontati, li sottovalutiamo
eppure loro restano lì, tra gli ingredienti della pasta di cui siamo fatti. Di
recente mi sono domandata quali siano state le donne che mi hanno condotto qui,
quelle a cui da piccola volevo somigliare, che mi hanno preso per mano e mi
hanno indicato la strada. Sono cresciuta accano a una mamma prima separata e
poi divorziata, in anni in cui divorziare non era facile né breve. L’avrei
desiderata casalinga, presene e accudente come le madri dei miei compagni di
scuola. E invece pativo le sue assenze di donna in carriera e piagnucolavo
sotto le sue spalle necessariamente larghe. Mi ha insegnato l’indipendenza,
l’emancipazione, la determinazione, forse anche la ferocia che tuttavia non ho
mai imparato. Mi ha regalato un’idea di normalità che allora era
rivoluzionaria, quasi scandalosa. Ci sono state luci e anche ombre ma senza di
lei sarei ancora la ragazzetta tremebonda che ha paura dei clown e di non
essere capace. La mia nonna si ammalò di tubercolosi quando era una giovane
madre e nel corpo restò per sempre fragile. Così decise di nutrire la mente e
di renderla forte e invincibile. Si dedicò allo studio con una passione
sfrenata e un entusiasmo che condivideva con me, che pendevo dalle sue labbra
di affabulatrice, Lei mi ha insegnato la magia della lettura e mi ha dimostrato
che ci sono luoghi di sconfinata bellezza anche dentro di noi. Non somiglio né
a lei né a mia madre ma in loro poggio le mie radici, da loro è composta la mia
linfa. Il destino mi ha risparmiato dal ruolo di fato e per questo gli sono
grata. Lo lascio a mio marito e alle sue spalle ben più larghe delle mie. “Sai
chi vorrei come padre al posto tuo?”, gli ha domandato qualche tempo fa il
primogenito. “Chi?” “Bruno Mars”. “Il cantautore ballerino di origini
portoricane?” “Già. Lui sì che è un figo”. Il marxista barese non ha fatto una
piega. Io, al posto suo, sarei scoppiata in lacrime.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 21
ottobre 2017 -
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