A Mio Parere, ancora oggi, nonostante l’evidente evoluzione dei costumi, registrata
soprattutto nell’ultimo secolo, la maggioranza degli uomini e delle donne vive
la sessualità con un più o meno grave e pesante, senso di colpa, invece che con
consapevolezza piena e gioiosa. Addirittura, a volte, perfino in età giovanile,
ci si sottrae alla sessualità o la si vive in maniera molto conflittuale, quasi
per paura di esserne travolti. Bisognerebbe imparare a riconoscere fino in
fondo il proprio diritto alla felicità sessuale e a praticare il sesso come
un’esperienza profondamente naturale, del tutto innocente e gioiosa. Così si
allenterebbe una delle cause maggiori di quel “disagio della civiltà”, al quale
un grande (Sigmund Feud, ndr) dedicò, all’incirca un secolo fa, un libro
diventato famoso. Sarebbe un grande passo avanti nel cammino della civiltà,
perché allenterebbe molte e importanti cause di tensione e sofferenza, di
incomprensione e conflitto, quindi, anche di aggressività e violenza fra gli
uomini. Non eliminerebbe, certo, del tutto, una volta e per sempre, quel
“disagio”. Ma lo allevierebbe di parecchio.
Giovanni Lamagna lamagnagio@tiscali.it
Non Credo Che oggi uomini e donne vivano la
sessualità tormentati, come lei sostiene, da un sottile o pesante senso di
colpa. Questo accadeva nella società che possiamo definire della “disciplina”,
tipica degli anni ’50 e ’60, caratterizzata dalla contrapposizione tra permesso
e proibito, tra norma e trasgressione. Ma dopo il ’68, quando una libertà dei
costumi fino ad allora sconosciuta si coniuga a nuove prospettive di vita,
soprattutto per le donne, per le quali la gravidanza non è più un destino, ma
diventa piuttosto una libera scelta, il conflitto tra permesso e proibitosi
attenua e, con lui, il senso di colpa. Il maschio, che conosceva il proprio
corpo come libero dalla catena della riproduzione, si trova di fronte a un
altro corpo, finalmente liberato da questa catena. Il suo schema di vita
subisce così un contraccolpo che lo obbliga a una radicale riconsiderazione di
sé come mai prima gli era accaduto. La donna, dal canto suo, svincolata dal
ritmo della natura, cui era inchiodata dall’origine del mondo, sposta i confini
del comune senso del pudore, obbligando le morali a rivedere i loro margini di
tolleranza. E le teorie psicologiche ad abbandonare la metafora sessuale su cui
avevano costruito i loro edifici, perché tale metafora non tiene conto più come
tabù e neppure come desiderio. Il desiderio, infatti si estingue come effetto
della saturazione per abbondanza di visioni sessuali su tutti i registri: dalla
pubblicità, che si propone di far desiderare un prodotto come si desidera il
sesso, alla pornografia in edicola, al cinema, in Internet, nelle chat line…Il
corpo femminile è ora sequestrato dal mercato, che lo impiega per la vendita
delle merci. E dalla moda, dove frammenti di erotismo, accennati dalla
camminata e dal gioco delle vesti, sono riassorbiti in quel gelido rituale
della passerella che lo espone come si espone un manichino. Nonostante
l’incontrollato proliferare delle immagini sessuali, o forse proprio per
questo, al “senso di colpa” tipico della società della disciplina subentra il
“senso di inadeguatezza”, tipico della società dell’efficienza per ciò che si
potrebbe fare e non si è in grado di fare secondo le attese altrui, a partire
dalle quali ciascuno misura il valore di se stesso. Qui, benché la scena sia
ancora sessuale, in gioco non è più la sessualità, ma la propria identità,
messa a rischio da un corpo esitante, maldestro, insicuro, non per imperizia,
ma per la vertigine che accompagna la scoperta di quegli aspetti di sé che solo
l’altro può svelare. La nudità che caratterizza ogni scena erotica non è una
faccenda di vesti o sottovesti, ma è l’essere messi a nudo dallo sguardo
dell’altro, che ci svela quanto di segreto e di secretato teniamo nelle
profondità di noi sessi. (..). La vertigine della mia identità in pericolo è il
vero spasmo di ogni incontro sessuale, perché l’“altro” nel suo accostarsi mi
“altera”. Ed è proprio questa alterazione che, se incrina o addirittura spezza
la mia integrità, mi rivela anche che cosa posso essere e diventare davvero.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 30
settembre 2017 -
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