Le Paure Di Questi
Giorni mi fanno
riesumare un vecchio taccuino di viaggio, un Moleskine di 11 anni fa: appunti
sulla mia visita in Corea del Nord. Una missione semi-clandestina, un viaggio
nell’orrore, ma in un’epoca che appariva un po' meno terribile di oggi. Kim
Jong-un viveva da bamboccio viziato fra i lussi, forse in Svizzera, tenuto a distanza
dal babbino-dittatore. Il regime era feroce (..), ma ancora lontano dalla bomba
H o dai missili intercontinentali. Ecco un frammento dai miei ricordi del 2006:
“Il quadrireattore Ilyushin 62, di fabbricazione sovietica, mostra gli
acciacchi dei suoi 40 anni, ma non c’è alternativa. Il volo Air Koryo tra Pechino
e Pyongyang è il solo collegamento regolare tra la Corea del Nord e il resto
del mondo. È un’impresa prenderlo. E’ raro che riescano a entrare dei
giornalisti. A bordo i passeggeri nordcoreani si riconoscono: completo grigio e
cravatta, all’occhiello la spilla rossa con l’effigie del Caro Leader. Appena
atterrati a Pyongyang, iniziano riti che segnalano l’ingresso in un universo
remoto e misterioso. La Corea del Nord è l’unico Paese al mondo dove i
telefonini vengono sequestrati dalla polizia di frontiera, quelli fissi sono
disabilitati a ricevere chiamate dall’estero solo pochi potenti hanno un
accesso a Internet, e il visitatore viene scortato da due funzionari
governativi con cui occorre “concordare l’itinerario. Le dimensioni monumentali
della capitale accentuano l’atmosfera irreale, da città-fantasma. Dopo il
passaggio davanti allo Stadio Kim Il Sung (fondatore del regime, deceduto nel
1994, nonno dell’attuale dittatore), l’Arco di Trionfo celebra la guerra contro
gli americani, la statua bronzea di Kim Jong-il (il tiranno numero due, al
potere durante il mio viaggio, morto nel 2011), talmente colossale da essere
visibile dai satelliti-spia. Tutta l’architettura urbana è un omaggio titanico all’unica
monarchia ereditaria comunista della storia, la cui ideologia accentua col
passare degli anni i connotati religiosi. Il leader si attribuisce poteri
soprannaturali, alimenta leggende sui propri miracoli. Si erigono in suo onore
templi che ricordano il culto dell’imperatore nell’èra confuciana. Pyongyang
sembra finta. Una immaginaria Disneyland spopolata – senza turisti – tutta
dedicata alla storia del comunismo, un Jurassic Park per farci viaggiare
all’indietro nel tempo. Un mondo ricostruito com’era mezzo secolo fa, all’apice
della guerra fredda. Anche il resto della città ricorda un vecchio documentario
in bianco e nero, ma piano piano vi compare un mesto popolo di ombre, e una
realtà diversa sostituisce l’impressione di stare a Disneyland. Un grattacielo.piramide
abbandonato e mai finito, file di caseggiati dai muri scrostati o senza
intonaco compongono un paesaggio da dopoguerra. E quei locali squallidi che
s’intravedono illuminati da deboli neon sono le abitazioni dei
semiprivilegiati, il “ceto medio” al quale il regime concede la residenza nella
capitale dove stenti e privazioni sono un po' minori. È concesso un breve
viaggio in metropolitano: lo scopo è farci ammirare la profondità dei
tunnel-rifugi antiatomici. Il tragitto sottoterra si percorre circondati da una
popolazione gelida e silenziosa, dagli sguardi tristi e sfuggenti, con abiti
grigi, tagli e fogge da Europa dell’Est anni ’50. Questo è l’unico angolo
d’Asia dove i bambini non sorridono allo straniero, non lanciano un hèl-lou! Allegro, ma anzi, abbassano gli
occhi o si scostano impauriti”. Quel giorno mi sono sentito temuto e odiato, in
un Paese che da mezzo secolo viene mantenuto in allarme permanente, mobilitato
per fronteggiare un’invasione sempre imminente. La follia con cui un tiranno
criminale manovra per conservare il proprio potere è diventata contagio,
paranoia di massa, impazzimento di un popolo.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 23
settembre 2017 -
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