Sono Una Ragazza di diciotto anni che inizia il quinto anno di liceo classico. Fin dalle
scuole medie non ho mai incontrato professori capaci di farmi appassionare a
una materia un argomento. Niente (in ambito scolastico) riesce a entusiasmarmi.
Non voglio mettere in dubbio l’ottima preparazione degli insegnanti ma il loro
modo di rapportarsi con noi studenti, la loro freddezza e rigidità nei
confronti degli argomenti trattati. Se chiudo gli occhi vedo la scuola come un
luogo stimolante, entusiasmante, dove si svelano i misteri dell’universo, della
fisica, della lingua, del pensiero, delle passioni, delle emozioni, insomma
dove si comprende tutto ciò che è indispensabile per costruire e arricchire la
propria cultura, e perché no anche la propria interiorità. Apro gli occhi e,
invece, vedo che tutto si riduce a nozionismo, voti, programmi da finire.
L’alunno a volte non viene visto più come una persona e forse anche da questo
derivano “ansie” e “paure” (quando la scuola si dovrebbe vivere con la massima
serenità). Nonostante sia una brava studentessa il pensiero del ritorno a
scuola mi angoscia e mi chiedo: è colpa mia, del mio modo di vedere le cose o
di terzi? Ilia dentici iliadentici@gmail.com
Cara Ilis, Non è colpa tua e neppure del tuo modo
di vedere le cose. Ne conviene anche un professore (Lvavala@me.com) che così mi scrive: “Le vie della
frustrazione o della felicità, o della soddisfazione, o del sorriso, o del
pianto, sono individuali. (…) Ma è delittuoso gettare gli adolescenti nel
meccanismo delle certificazioni, delle necessità produttive, delle frustrazioni
costanti; sospinti in nuovi stati di minorità, bisognerebbe subito riportali a
un moderno illuminismo”. Kant definiva l’illuminismo “L’uscita dell’uomo da una
condizione di minorità che consiste nell’incapacità di servirsi del proprio
intelletto senza la guida di altri” Ora, che i giovani che frequentano la
scuola abbiano bisogno di guide culturali è fuori dubbio, purché queste guide
non impedicano agli studenti l’uso del proprio intelletto, riducendoli in uno
stato di passività come quando lo studente ripete quello che l’insegnante ha
detto guardandosi bene dal metterci del suo. Scopo della scuola è addestrare al
senso critico, alla non accettazione indiscussa dell’opinione corrente, all’esame
dei pro e dei contro, alla discussione argomentata e non alla semplice
ripetizione pedissequa di quel che l’insegnante ha spiegato. Solo così gli
studenti si sentiranno nella classe soggetti attivi, impegnati in discussioni
proficue, in cui sono costretti a praticare la parola in pubblico, curando
vocabolario, grammatica e sintesi, in un clima che sia di reciproco e attento
ascolto e partecipazione emotiva. L’apprendimento, infatti, non è frutto di
“buona volontà” come sono soliti dire i professori in quegli inutili e sbiaditi
colloqui con i genitori, perché tutti sappiamo che la buona volontà è promossa
dall’interesse, e l’interesse non esiste separato da un legame emotivo. Ne
consegue che se l’incuria dell’emotività o la sua cura a livelli sbrigativi
diventa la costante che si riscontra nelle nostre classi, anche i contenuti
culturali quando la trasmissione riesce, restano contenuti della mente senza
diventare spunti formativi del cuore. E questo accade soprattutto là dove il
rapporto tra studenti e insegnanti è regolato da una reciproca diffidenza,
quando non da una inspiegabile paura degli allievi nei confronti dei
professori, o dei professori nei confronti degli allievi. Clima questo
perfettamente adatto per far giungere agli studenti quanto di iù lontano e
astratto cìè in ordine alla loro vita dove il sapere, per difetto di
trasmissione, non riesce a diventare nutrimento della passione, senza la quale
l’interesse per la cultura non nasce, e se mai per caso fosse nato, come sembra
lasciar intendere il sogno di Ilia, inesorabilmente si estingue. Se la scuola
deve rispondere non solo in termini di istruzione ma anche in termini di
educazione, non può prescindere dalla cura dell’emotività in quella stagione,
adolescenza, dove il cuore non sa se avere legami con l’ideale o col sesso,
dove la rabbia non sa se scatenarsi su di sé o sugli altri, dove l’eccesso
della vita travalica talvolta pericolosamente la misura, dove malinconie
radicali inducono alla demotivazione quando non alla depressione, dove il
volume delle sensazioni oltrepassa di gran lunga la capacità delle parole disponibili per esprimerle. In questa
stagione, caratterizzata da un inquieto disordine, che fa la scuola? E
soprattutto che attinenza hanno con questa instabilità adolescenziale le
riforme autonomie gestionali, rivalutazione della funzione del preside. Nuovi
programmi in funzione di nuovi profili professionali, accorpamenti di indirizzi
di studio, lavagne luminose, registri digitali, informatizzazione di questo e
di quello, quando l’unica cosa necessaria è la cura emotiva di chi sta
crescendo, con tutte le difficoltà che si frappongono alla faticosa costruzione
del proprio percorso futuro.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 21 ottobre
2017 -
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