La Domanda Che le pongo è sull’Italia. Può mai un Paese individualista come il nostro
ragionare come una comunità? La nostra legislazione, specie negli ultimi anni,
va nella direzione opposta al senso di comunità (la Legge sulla legittima
difesa spinge in questo senso) e le disuguaglianze avanzano nell’indifferenza
generale. Manca la fiducia. Siamo tutti gli uni contro gli altri. L’Europa è
davvero lontana e noi siamo ormai avviati verso un capitalismo sempre più
selvaggio, in cui si moltiplicano apparati di tutti i tipi. Chi ne sta fuori ha
già perso. E la vera libertà appare come un orizzonte sempre più lontano.
La Denuncia Che
lei
fa della nostra cultura individualistica è corretta, così come corretta è la
segnalazione delle sue conseguenze disastrose per il nostro Paese. Le radici
affondano nella tradizione cristiana, che ha anteposto la sorte dell’individuo
a quella della comunità. Nel mondo greco, il primato spettava alla comunità.
Nel mondo greco, il primato spettava alla comunità (polis),
a proposito della quale Aristotele, nella
Politica (Libro 1,1253a), afferma: “La polis
esiste per natura ed è anteriore a ciascun individuo, per la semplice ragione
che nessun individuo è autosufficiente, per cui chi non è in grado di entrare
in una comunità, o per la sua
autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte della polis e di conseguenza o è bestia o è dio”. Dello stesso avviso è
Platone che nelle Leggi (Libro X, 90 3c) scrive: “Anche quel piccolo frammento che tu
rappresenti, o uomo meschino, ha un intimo rapporto con il Tutto e un
orientamento a esso, per cui tu sei giusto se ti aggiusti all’universa
armonia”. Il cristianesimo. A partire da Sant’Agostino, fissa nell’anima il
principio dell’individualità personale e colloca nella sua interiorità la
rivelazione della parola di Dio, quindi la verità. Leggiamo infatti nel Commento agostiano al Vangelo di S.
Giovanni: “Nell’uomo interiore abita Cristo”; in un altro passo: “Nell’uomo
interiore abita la verità”; infine: “Chi ama il mondo non conosce Dio”. Qui
pende avvio quella scissione tra individuo e società che avrà il tratto caratteristico
della cultura cristiana perché, se la destinazione dell’individuo è
ultraterrena, la sua esistenza, pur svolgendosi nel mondo, dovrà essere
separata dal mondo stesso, e il senso della sua vita privatizzato o
spiritualizzato. All’individuo il compito di conseguire la propria salvezza:
alla società e a chi la governa quello di ridurre gli ostacoli che si
frappongono a questa realizzazione. Dal momento che la destinazione
dell’individuo non ha più parentela con la destinazione della società, si consuma
definitivamente la separazione tra individuo e comunità. Perciò Rousseau può
scrivere nel Contratto sociale (Libro
IV, capitolo VIII): “Lungi dall’affezionare il cuore dei cittadini allo Stato,
il cristianesimo li distacca come da tutte le altre cose terrene. Non conosco
nulla di più contrario allo spirito sociale. Siccome la patria del
cristianesimo fa il suo dovere, è vero, ma lo fa con una profonda indifferenza,
riguardo al buono o cattivo esito dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da
rimproverarsi, poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù”. Nella
nostra epoca, caratterizzata dall’egemonia della tecnica, l’individuo è in
crisi non perché “si è affezionato allo Stato, ma perché, come lei giustamente
ricorda, si sente sempre più funzionario di apparai, in cui la sua
individualità dipende dal ruolo che occupa nell’organizzazione. E la sua
identità dai riconoscimenti o misconoscimenti all’interno dell’apparato di
appartenenza, che richiede un’uniformità di pensiero e di comportamento. Ne
consegue, come scrive Max Horkheimer, che: “Riecheggiando, imitando, copiando
coloro che lo circondano, adattandosi a tutti i potenti gruppi di cui entra a
far parte, trasformandosi da essere umano in membro di un’organizzazione,
sacrificando le proprie potenzialità alla buona volontà e alla capacità di
adattarsi a quelle organizzazioni e di ottenere una certa influenza nell’ambito
di esse, l’individuo riesce a sopravvivere. Deve dunque la salvezza al più
antico espediente biologico di sopravvivenza, il mimetismo”. L’individualismo,
vale a dire la perversione derivante dalla cultura che ha affermato il primato
dell’individuo, quando è contenuto e represso nel mondo del lavoro, e più in
generale nel pubblico, si potenzia nel privato. Che diventa quel recinto
inviolabile dove nessuno può entrare (non solo i ladri, ma neanche i vicini di
casa di cui neppure si conosce il nome), in quella difesa strenua delle cose
che si possiedono, e a loro volta incaricate di rappresentare chi siamo. Nella
più totale indifferenza nei confronti di quanti, più disagiati di noi, chiedono
almeno uno sguardo.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica -7 ottobre
2017 -
Nessun commento:
Posta un commento