“È assurdo pensare ai migranti come ai
nuovi untori: non c’è rapporto tra migrazioni e malattie infettive, e in nessun
modo l’immigrazione ha determinato un incremento di incidenza delle malattie
infettive nei Paesi di destinazione”. Il parere è autorevole: Giuseppe
Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale malattie infettive
Lazzaro Splallanzani di Roma, risponde così ai dubbi inoculati da alcuni media
nel sentire comune. Il 7 ottobre affronterà il tema al Teatro Sociale di
Bergamo nel corso del festival Bergamo-Scienza (dal 30 settembre al 15
ottobre). Non solo non esistono dati a sostegno dell’ipotesi di un’incidenza
dei rifugiati sulla diffusione di malattie infettive, dice, ma questa relazione
è smentibile anche solo attraverso la logica: “Chi riesce ad arrivare nel
nostro Paese di solito è sano: si tratta di persone che hanno fatto viaggi in
condizioni igieniche precarie, esposte a freddo e acqua di mare. E hanno
superato tutto questo proprio grazie a una buona salute” dice Ippolito. “Possono
capitare, certo migranti con infezioni che da noi sono poco comuni, ma si
tratta di eventi rari: possiamo ribadire che non c’è stato alcun cambiamento
nella frequenza delle malattie infettive collegabile ai migranti”. Anche il
drammatico caso di malattia dell’ospedale di Trento non vuol dire che questa stia
tornando in Italia. “Abbiamo circa seicento casi di malaria all’anno e
riguardano tutti persone che sono state in vacanza all’estero. E che avrebbero
potuto prevenire la malattia con una profilassi adeguata, come quella suggerita
sul sito Viaggiaresicuri.it del
ministero degli Esteri, dove l’istituto Spallanzani cura per ogni nazione una
scheda su malattie locali, vaccini utili, comportamenti da seguire, per esempio
non acquistare cibi per strada” sottolinea Ippolito. “Ma la leggerezza in tema
di salute con cui molti partono per un Paese lontano non è un problema soltanto
italiano: è diffuso in tutto l’Occidente”. Anche un’altra malattia infettiva di
cui si è parlato molto nei mesi scorsi, la meningite, per Ippolito è stato
oggetto di un allarmismo poco giustificato dai numeri: “In Italia abbiamo cento
casi di meningite all’anno, ed un numero sostanzialmente stabile nel tempo.
L’anno scorso un eccesso di casi si è riscontrato solo in Toscana, in un’area
limitata, la Valle dell’Arno”. Ciò che fa più scalpore per i media non è sempre
ciò che è davvero rilevante: “Ci si spaventa per i due casi di carbonchio di
inizio settembre a Roma – dovuti al contagio di bovini infetti – ma si trascura
che oggi le infezioni ospedaliere da batteri multiresistenti fanno molti più
morti di malaria, Hiv, tubercolosi e meningite messi assieme: tra quattromila e
settemila l’anno”. Nel futuro ci sono la prevenzione e lo sviluppo di nuovi
antibiotici. “Sfida importante se pensiamo che nell’arco di quindici anni il 60
percento della popolazione vivrà in aree urbanizzate, e questo favorirà il
propagarsi delle malattie infettive” osserva Ippolito. “Ma siamo attrezzati:
l’Italia ha moltissimi reparti di malattie infettive, forse più di tutti gli
altri Paesi. Una rete capillare che è stata realizzata grazie ai finanziamenti
per la lotta all’Aids e che per noi può essere motivo di orgoglio”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di la Repubblica – 29
settembre – 2017 -
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