Da Circa Un Anno frequento un corso di base. Non ho
alcuna ambizione di combattere sul serio, di mandare qualcuno al tappeto, né
tanto meno di finirci. Eppure mi libera e mi diverte. Il mio insegnante dice
spesso che devo essere più cattiva. “Immagina di picchiare un tuo nemico!”, mi
sprona. “Ma non ho nemici!”, rispondo io, boccheggiando con il poco fiato che
mi resta in corpo perché il pugilato, anche senza nemici da abbattere, è un’attività
stremante. “Eddài! Non odi nessuno??? Non è possibile!”. Ho passato in rassegna
le mie conoscenze, le persone in cui inciampo malvolentieri, colore che
preferirei non incontrare. Sono un discreto gruppetto, eppure nessuno di loro
mi suscita un sentimento tanto passionale e impegnativo quanto l’odio. Non ho
nemici per colpa della mia innegabile pigrizia ben più che per merito di una
presunta bontà d’animo. “Allora pensa a qualcuno che ti intimorisce e vinci
quella paura prendendola a cazzotti”, mi urla il maestro, mostrando un
inaspettato talento anche nell’addestramento dello spirito. Alla scuola media
avevo paura di Fiumazzi Peppino che una mattina, approfittando di una supplente
distratta, mi si avvicinò con i suoi sgherri e mi minaccio con un taglierino
per punirmi del reato di sussiego nei suoi confronti. In quegli stessi
derelitti anni, mi intimoriva anche una ragazzina giunonica e violenta che mi
sibilava nell’orecchio con voce maschi: “Stai attenta: ti aspetto fuori e ti
meno”. Di lei ricordo le mani paffute da bambina e l’afrote di adolescente. Al
ginnasio ero terrorizzata dalla professoressa di latino e greco, una donna
minuta dall’intelligenza limpida e implacabile. Riconobbe subito la mia natura
fragile e non ne ebbe alcuna pietà. Dopo di lei, furono molti gli insegnanti
capaci di atterrirmi. Per un breve periodo, neolaureata, lavorai nella finanza.
Compravo e vendevo titoli di borsa al comando di un capo iracondo e geniale.
Anche lui aveva su di me il superpotere del terrore. Ultimamente c’era una
mamma alfa nella classe di uno dei miei figli. La sua sicumera polemica mi
intimidiva e mi paralizzava. Mi ci voleva un guru, liberatore di coscienza e upper cut, per capire che, a farmi
paura, sono le persone aggressive e giudicanti. Ad atterrirmi è la possibilità
di non essere accettata e di deludere il prossimo. Ne Il senso del dolore di Maurizio De Giovanni, primo incantevole
libro della serie del commissario Ricciardi, Don Pìerino, uno straordinario
prete, dichiara: “Per non fare paura bisogna non avere paura”. Sarà vero? Il
feroce Fiumazzi mi tormentava perché a sua volta era perseguitato da terribili
fantasmi? L’odorosa picchiatrice era da qualcun altro vessata? E quali mostri
agitavano i sonni della professoressa di greco? L’irascibile trader, in grado
di guadagnare fantastiliardi grazie a un click del mouse e al suo fiuto
infallibile, forse temeva quella crisi finanziaria planetaria che si è poi
puntualmente verificata? La mamma alfa mi pareva d’acciaio: era l’unica fra
tutte noi a non abbassare mai lo sguardo, nemmeno al cospetto della maestra di
matematica. Ma probabilmente anche lei, con i suoi lineamenti affilati e il suo
incedere da bersagliere, avrà un tallone vulnerabile da nascondere. La
prospettiva che anche io, che non hi nemici ma spauracchi, possa far paura a
qualcuno mi sembra inverosimile e ridicola, ma sul ring ho imparato che l’animo
umano è torbido e imperscrutabile e che ognuno di noi ha un volto da lupo e uno
d a agnellino.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 30
settembre 2017-
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