Posa per una campagna pubblicitaria senza
depilarsi. E il web la copre d’insulti. È successo ad Arvida Bystrom,
venticinquenne fotografa svedese scelta da Adidas per la nuova campagna
#superstar, dedicata alle icone di domani. L’artista, che ha fatto del Long hair don’t care (come dire “pelo
bello, mi ribello”) uno dei suoi slogan di lotta femminista, ha scelto di farsi
fotografare in scarpe da ginnastica e con le gambe visibilmente coperte di
peli. Un messaggio che ricorre a un simbolo corporeo universale, addirittura
etologico, come il pelo, per rimettere in questione le differenze tra i generi
e mostrare, come lei stessa dichiara nello spot incriminato, che “chiunque può
essere femminile, fare cose da dona e forse la società ha paura di questo”. La
società forse. Ma i social di certo. Viste le reazioni odiose della rete, che
ha liberato i suoi spiriti animali. In prima linea i detestabili haters, che hanno tempestato la
fotografa di commenti velenosi, nonché di minacce di stupro e volgarità di ogni
sorta. È la prova che la provocazione di Arvida ha colto decisamente nel segno.
Perché ha fatto affiorare il fondo violento
e retrivo che internet cerca invano di dissimulare dietro foglie di fico
pseudodemocratiche e progressiste come chat, forum, pollici alzati e altre
maschere comunitarie. Che della comunità hanno il volto peggiore, quello
tribale, arcaico, intollerante, integralista. Fabbrica di populismi e officina
della demagogia. Che della democrazia è la versione umorale, ormonale,
anabolizzata, dopata. Se il mondo digitale è davvero lo specchio anticipato del
reale c’è poco da stare allegri.
Marino Niola – Miti d’Oggi – Il Venerdì di La Repubblica – 13
ottobre 2017-
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