“Deve Essere Una
Donna”, sospirava
sconsolato Omar, quando finivamo bloccati in un ingorgo stradale o eravamo
costretti a rallentare. Ragazzo egiziano studente negli usa, compagno di
squadra di mio figlio, che accompagnavo alle partite di calcio con lui. Omar
era la naturale espressione di quello che la maggioranza degli uomini arabi
pensano delle donne al volante, fino alla posizione estrema dei Sauditi che
proibiscono loro di guidare. Ma la parola chiave nel pregiudizio non era
“arabi”: era “uomini”. Quel ragazzo esternava semplicemente quello che ogni
uomo al volante pensa e non osa dire, per non essere arrostito da mogli,
parenti, fidanzate, colleghe. Dal 22 marzo del 1900. Data in cui la signorina
Anne Rainsford French ricevette la prima patente di guida negli Stati Uniti,
dunque probabilmente nel mondo, gli uomini sono segretamente convinti che le
donne non sappiano guidare. Ci sono ormai valanghe di statistiche, compilate da
agenzie governative e da compagnie di assicurazioni, che dicono il contrario.
Negli Stati Uniti, ci sono più femmine “patentate” che maschi: 105,7 milioni
contro 104,3, eppure gli uomini provocano sei milioni di incidenti rispetto ai
quattro causati da donne. I maschi ricevono quattro volte più contravvenzioni
per eccesso di velocità, guida pericolosa, ubriachezza o influenza di droghe e
sono responsabili di incidenti più gravi. Le assicurazioni che guardano ai dati
e non al genere, applicano infatti premi più bassi alle donne. La spiegazione
del pregiudizio maschilista, ha cercato di dimostrare l’università del
Michigan, lo Stato in cui si trova Detroit e che è quindi attentissimo a tutto
ciò che riguardi i motori, sta probabilmente in una parola: aggressività. Le
donne al volante tendono, in media, a essere meno aggressive degli uomini e,
soprattutto quando arrivano figli, evitano manovre spericolate, semafori bruciati,
sorpassi azzardati, sfide corsaiole. Vanno mediamente più adagio. Qualche anno fa,
quando seguivo occasionalmente gare di Formula Uno, chiesi a Luca Montezemolo,
allora presidente della Ferrari, perché ci fossero pochissime pilote, se la
scarsità, o l’assenza di femmine nelle corse automobilistiche fosse un prodotto
del sessiamo che allora, più di oggi, dominava tutto il mondo dello sport, con
o senza motori. “Le donne sono in generale meno stupide degli uomini e tendono
razionalmente ad alleggerire il piede sul gas per non andare a schiantarsi”, mi
rispose. Rallentano istintivamente per quella razione di secondo che fa la
differenza, giro dopo giro, Ma se la Formula Una resta un club maschile
esclusivo, molto altro sta cambiando nel rapporto fra i motori e le donne, da
quado Anne ottenne quella licenza che gli permetteva di guidare veicoli “a
vapore o a benzina”. L’automobile è sempre più un vocabolo declinato al
femminile, acquistato in maggioranza da donne, scelto da donne e condizionato
da loro molto più di quanto i maschi, aggrappati ai loro sogni di spider rosse
come psicoterapia per la crisi della mezza età, credano. Le giovani sotto i 30
anni, ormai raramente sposate o madri di famiglia, guidano con la stessa
spregiudicata aggressività dei loro coetanei maschi. Le case automobilistiche
s’ingegnano a montare accessori e optional in grado di attrarre le femmine
della nostra specie, esaltando fra l’altro la capienza dei portapacchi o dei
vani bagagli. Anche se ancora, con mia grande sorpresa, nessun modello di
nessuna marca ha trovato un modo per sistemare le borse, che finiscono sbattute
sul sedile del passeggero, se vuoto, o lanciate su quello posteriore. Noi
automobilisti dovremo accettare la supremazia delle donne alla guida, in attesa
che le automobili si pilotino da sole.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 30
settembre 2017-
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